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Densità e distribuzione della popolazione nelle città e nelle campagne

    La popolazione nelle città e nelle campagne

    La densità e la distribuzione della popolazione

    Nel capitolo precedente abbiamo già passato in rassegna le vicende demografiche giulio-friulane ; riprendiamo ora l’argomento per considerare la densità e la distribuzione attuale della popolazione sul territorio della regione.

    Con i suoi 159 ab. per kmq., registrati alla fine del 1958, il Friuli-Venezia Giulia ha una densità leggermente inferiore alla media nazionale e viene a trovarsi al nono posto fra le regioni italiane. Se però non prendiamo in considerazione la superficie improduttiva, che è rilevante, perchè costituisce il 18% della superficie territoriale, otteniamo una densità agraria-forestale di 194 ab. per kmq., che supera di parecchi punti la media nazionale, ponendo la nostra regione al settimo posto fra le regioni italiane. Da questo secondo indice risulta abbastanza chiaramente che la regione ha una densità troppo elevata, rispetto alle sue modeste risorse naturali, per cui non c’è da meravigliarsi che essa alimenti considerevoli correnti di emigrazione verso l’interno e verso l’estero. Tale densità è però molto eterogeneamente distribuita nelle tre province (vedi Tabella IV) e nelle varie zone morfologiche ed economiche, essendo in stretto rapporto con i loro diversi caratteri fisici e storicoeconomici. Molti squilibri sono poi più apparenti che reali, essendo dovuti alla particolare configurazione territoriale di certe unità amministrative.

    La provincia più fortemente popolata è quella di Trieste che presenta una densità di 1469 ab., al secondo posto fra le province italiane dopo Napoli, ma tale addensamento deriva soprattutto dalla presenza di una grande città capoluogo in una provincia di modestissime dimensioni, fenomeno questo che non trova riscontro in nessun’altra provincia italiana. Se consideriamo solo la superfìcie produttiva tale densità sale a 1678 ab., ma se togliamo la popolazione del capoluogo si riduce a soli 218, risultando alquanto inferiore alla corrispondente densità registrata nella provincia di Gorizia. Si tratta comunque di una densità molto elevata, che deve esser messa in rapporto non tanto con le modeste possibilità agricole del territorio, ma con l’attrazione esercitata dalla grande città giuliana, le cui attività economiche occupano anche una buona parte della popolazione dei comuni minori. Grandi differenze ci sono però fra i comuni della zona carsica, dediti ad un’economia prevalentemente pastorale (Duino-Aurisina, Monrupino e Sgònico) e quelli della zona marnoso-arenacea, ad economia agricola intensiva (Muggia e San Dorligo della Valle).

    La provincia di Gorizia costituisce un’area di transizione fra le altre due province, con una densità di 293 ab. per kmq., che pure risente, ma molto meno di Trieste, del peso demografico delle città di Gorizia e di Monfalcone, a causa delle sue modeste dimensioni. La densità agraria-forestale è di 416 ab. e rimane molto elevata anche togliendo la popolazione del capoluogo, perchè la provincia ha un territorio per quattro quinti pianeggiante, intensamente coltivato e ricco di attività industriali. Maggiore densità presenta il Territorio di Monfalcone, che risente l’influenza del grande centro industriale monfalconese, il cui comune possiede una delle più elevate densità della regione. Un po’ meno popolato è invece l’Agro cormonese-gradiscano, a causa anche dell’aridità dei terreni, ad eccezione naturalmente del comune urbano di Gorizia. Gli indici più bassi si riscontrano nel Collio, nella laguna di Grado e nel Carso monfalconese, per le sfavorevoli condizioni morfologiche ed agrarie.

    La grande provincia udinese ha invece una densità territoriale di soli 111 ab., molto inferiore quindi alle altre due province e al di sotto della stessa media nazionale. Tale fatto è dovuto essenzialmente alla preponderanza della regione morfologica montana (46,5%), alla notevole estensione della superfìcie improduttiva e alla struttura prevalentemente agricola della sua economia. La densità agraria-forestale è pure piuttosto bassa (135 ab. con il capoluogo e 122 senza), ma bisogna sempre tener presenti le condizioni poco favorevoli dell’ambiente e la scarsità delle risorse naturali. Fortissimi sono però gli squilibri fra le varie parti della provincia, giacché si passa dai 1284 ab. del comune di Udine ai 10 di quello di Barcis, per cui ne deriva un quadro molto complesso e di grande interesse geografico, che cercheremo di analizzare.

    La massima densità si registra naturalmente nella pianura (186 ab. nel 1951), diminuisce di circa un quarto nella collina (151 ab.) mentre si riduce a soli 40 ab. nella regione montana. Se poi consideriamo soltanto la superfìcie agraria-forestale, le differenze risultano ulteriormente accentuate. Ma anche nell’àmbito di queste regioni morfologiche ci sono grandi diversità, dovute alla natura geo-idrologica dei terreni, al clima ed alle diverse vicende storiche. Così nella regione montana alpina balza evidente lo squilibrio esistente fra la Carnia, che ha una densità media di

    50 ab., e il Canale del Ferro-Vai Canale, che raggiunge appena i 29. Le cause devono essere ricercate soprattutto nella diversa natura geo-morfologica esistente fra la regione alpina interna e quella esterna, già illustrata nei capitoli precedenti, che comporta tipi diversi di insediamento e di utilizzazione del suolo. In Carnia i comuni più densamente abitati sono quelli di Villa Santina (157 ab.) e Tolmezzo (129 ab.), nella bassa valle del Tagliamento, agli sbocchi delle valli laterali del Degano e del But. Il canale che presenta la maggiore densità è però quello di San Pietro, seguito da quelli di Gorto, Incaroio e Socchieve, nel quale ultimo si trova il comune con la densità più bassa di tutta la Carnia: Forni di Sotto (17 ab.).

    Nel Canal del Ferro e nella Val Canale nessun comune supera i 50 ab. per kmq., per la forte estensione della superfìcie improduttiva e delle foreste. Le densità minime si registrano nei comuni di Dogna (14 ab.) e di Malborghetto-Vaibruna (13 ab.).

    Densità della popolazione (cens. 1951).

    Nella regione montana prealpina si verifica un fenomeno opposto a quello rilevato in quella alpina. Infatti la densità aumenta da occidente verso oriente, in rapporto al progressivo abbassamento dei rilievi ed alla maggiore estensione della fascia marnoso-arenacea subalpina, cosicché c’è un forte contrasto fra le Prealpi Carniche, che hanno densità pari al Canal del Ferro-Vai Canale, e le Prealpi Giulie, in cui la popolazione relativa sale a 75 ab. per kmq., raggiungendo l’indice più elevato di tutta la montagna friulana.

    Nelle Prealpi Carniche emergono per il loro scarso popolamento la vai Cellina e l’alta vai Tramontina, dove si registrano i più bassi indici della regione (Barcis 10 ab., Cimolàis 11 ab.). Sono meglio abitate solo le aree subalpine di sbocco in pianura delle principali vallate (Forgària 109, Bordano 98, Clauzetto 64). Nelle Prealpi Giulie solo i comuni elevati di Lusèvera e Taipana non raggiungono i 50 ab., mentre le valli del Natisone (Slavia) presentano una densità media superiore ai 100 ab., oscillando fra il massimo di San Pietro (125 ab.) e il minimo di Pùlfero (78 ab.).

    L’area di più intenso popolamento di tutto il Friuli è però quella collinare dell’anfiteatro morenico del Tagliamento, dove la densità supera in tutti i comuni i 200 ab., con punte massime nelle colline orientali, attraversate da importanti vie di comunicazione (Artegna 360, Tricésimo 347, Tarcento 333, ecc.). La crisi recente di certe attività agricole e artigianali ha prodotto però anche in questa zona il sovrappopo-lamento, che trova sfogo in grosse correnti migratorie.

    L’alta pianura friulana, per l’aridità e la sterilità del suolo, è ricoperta, nonostante la morfologia favorevole, da un velo demografico leggero, con densità variabili fra i 100 e i 150 abitanti. L’insediamento è molto rado soprattutto nei « magredi » della pianura occidentale, dove alcuni comuni registrano indici molto bassi, propri delle zone montane povere (Vivaro 45, San Quirino 60, Aviano 75). Questa fascia demografica di minore densità è però interrotta dall’area urbana e industriale di Udine, mentre maggiori addensamenti si registrano allo sbocco delle vallate prealpine.

    La zona delle risorgive costituisce invece un importante elemento di attrazione della popolazione, nonostante la presenza di alcune paludi. L’agricoltura assume qui uno sviluppo molto intensivo, mentre la presenza dell’acqua ha anche favorito la localizzazione di alcune attività industriali. Emergono in questa zona i comuni di Pordenone (711 ab.), Sacile (354 ab.) e Palmanova (448 ab.), che risentono naturalmente il peso demografico dei rispettivi centri urbani.

    La bassa pianura, per la fertilità dei terreni e la ricchezza di acque, costituisce la più ampia zona di addensamento demografico della regione, che si estende fra il Livenza e l’Isonzo, con densità oscillanti fra i 150 e i 250 abitanti. Densità anche maggiori si registrano però in presenza dei vivaci centri commerciali di San Giorgio di Nogaro e di Cervignano.

    Verso la costa l’insediamento subisce una nuova rarefazione, scendendo al di sotto dei ioo ab. per kmq., per la presenza di estese aree paludose e barenose, ma sensibili miglioramenti si prospettano con il completamento delle grandi opere di bonifica. La densità minore si riscontra per ora nel comune lagunare di Marano (29 ab.), dove la popolazione è dedita prevalentemente alle attività pescherecce.

    Tipi d’insediamento

    La popolazione della regione vive in massima parte accentrata, sia per le condizioni fisiche ed economiche del territorio, che in genere non favoriscono l’insediamento sparso, sia per le condizioni storiche in cui l’insediamento si è sviluppato nel Medio Evo.

    Nel 1951 viveva nei centri l’83% della popolazione regionale (vedi Tabella XI), aliquota notevolmente superiore alla media nazionale. Della restante popolazione, il 7% risiedeva nei cosiddetti « nuclei », ossia agglomerati di almeno cinque abitazioni, sprovvisti dei servizi pubblici e dei luoghi di raccolta che caratterizzano i centri, e il 9% nelle case sparse. Naturalmente la situazione è molto diversa da provincia a provincia e da zona a zona.

    Mentre nelle province giuliane, a struttura economica prevalentemente industriale, l’accentramento è superiore alla media regionale, in quella di Udine, a struttura prevalentemente agricola, la popolazione dei centri risulta meno elevata e corrisponde press’a poco alla media italiana. Per le province di Trieste e di Gorizia vanno però ricordate anche le modeste dimensioni ed il peso preponderante dei centri urbani, nonché l’estensione dei terreni aridi, carsici o alluvionali. L’insediamento sparso prevale solo nelle fertili zone collinari marnoso-arenacee del Mug-gesano e del Collio, che presentano, anzi, gli indici più elevati di tutta la regione (San Floriano 85% e Dolegna 80%).

    Nella provincia di Udine si possono individuare alcune grandi fasce di diverso insediamento, corrispondenti più o meno alle regioni naturali.

    Nella regione montana la popolazione vive fortemente accentrata, perchè la morfologia e l’altitudine determinano un’economia estensiva di tipo silvo-pastorale, limitano le aree coltivabili e rendono difficile, specie nei mesi invernali, la viabilità rurale, facendo apprezzare i vantaggi economici e sociali della vita accentrata, che risponde anche alla necessità di non sottrarre spazio ai seminativi e di usare convenientemente le poche posizioni morfologiche e climatiche adatte alla dimora permanente dell’uomo. Una testimonianza evidente di questo fatto l’abbiamo nella Carnia, che registra una punta massima nel comune di Sutrio (100%), nella valle del But, mentre l’indice minimo è quello del comune di Ravascletto (60%), nella dolce e assolata Vaicalda. Nel Canal del Ferro, invece, al maggiore frazionamento morfologico corrisponde, specialmente nelle valli laterali, una certa dispersione della popolazione in piccoli nuclei, localmente chiamati chiut, in cui la vita risente il disagio della lontananza dai centri. Nel Canal di Dogna, addirittura, circa il 70% della popolazione vive nei nuclei, ed il 55% nel Canale di Raccolana (Chiusaforte). Nell’ampia Val Canale invece si può riscontrare il tipico accentramento montano.

    Caratteristiche non molto dissimili dal Canal del Ferro presenta l’insediamento nelle Prealpi Carniche e Giulie, ma gli squilibri sono maggiori. Zone di notevole frazionamento si hanno nella vai Tramontina, nella vai dell’Arzino e nelle valli laterali del Natisone, ma accanto ai numerosi nuclei sono anche ben rappresentate, nelle zone marnoso-arenacee, le case sparse. Indici massimi di insediamento sparso si registrano nei comuni di Clauzetto (65%) nelle Prealpi Carniche, Drenchia (62%), Grimacco, Stregna e Prepotto (63%) nelle Prealpi Giulie. A queste zone si contrappongono però quelle più elevate, della fascia calcareo-dolomitica, nell’alta vai Cellina, nell’alta vai del Torre e nelle Prealpi di Cavazzo, dove l’accentramento è molto forte, fino a raggiungere l’indice massimo del comune di Bordano.

    Vedi Anche:  Suddivisioni territoriali del Friuli

    Popolazione dei centri (cens. 1951)

    Nella fascia collinare subalpina prevale nettamente l’insediamento accentrato, che non raggiunge tuttavia indici molto elevati, specialmente dove l’acqua è abbondante e i terreni sono fertili. Solo nei comuni meglio ubicati di Castelnuovo, Moruzzo e Montenàrs c’è una leggera prevalenza dell’insediamento sparso.

    L’accentramento diviene invece molto forte nell’alta pianura, dove l’aridità del suolo determina un’agricoltura estensiva e le dimore si addensano attorno ai pozzi e alle rogge. In questa zona poi sono elementi di attrazione anche le attività industriali, che abbassano gli indici della popolazione rurale. Nella zona orientale non mancano anzi i comuni in cui la popolazione vive accentrata al 100%, come Bici-nicco, Visco e Chiopris-Viscone, mentre in nessuna zona prevale l’insediamento sparso.

    La zona di maggiore dispersione è invece la bassa pianura, a valle della linea delle risorgive, che presenta le condizioni più adatte per un’agricoltura intensiva su larga scala. Ad occidente del Tagliamento la popolazione delle case sparse e dei nuclei prevale nettamente su quella dei centri, con punte massime nei comuni di Brugnera (82,5%) e Pasiano di Pordenone (70%), mentre nella Bassa friulana, fra Tagliamento ed Isonzo, la popolazione sparsa prevale solo nei comuni di Precenicco, Palazzolo dello Stella e Muzzana del Turgnano. Fortemente accentrata vive solo la popolazione del comune di Marano Lagunare (99%), per le esigenze dell’economia peschereccia e l’estensività dello sfruttamento agricolo, in aree dissestate idraulicamente, con una certa difficoltà di comunicazioni.

    Insediamento sparso nella piana di Osoppo con il centro disseminato di Buia.

    Dovunque però l’insediamento sparso tende a regredire, per l’attrazione economica e psicologica esercitata dai centri, specialmente dove esistono delle attività industriali. Mentre infatti nel 1871 la popolazione delle case sparse rappresentava il 17% degli abitanti del Friuli, ora tale percentuale si è ridotta a poco più del 12%. Però le grandi opere idrauliche in corso di esecuzione nella pianura e la progressiva trasformazione fondiaria ad opera degli enti di bonifica sono un efficace rimedio allo spopolamento delle campagne, la cui popolazione si avvantaggia anche del miglioramento delle vie di comunicazione e dei servizi sociali.

    Popolazione nelle case sparse (cens. 1951).

    Casoni pescherecci nella laguna di Grado.

    Forme d’insediamento e tipi di dimore

    Le forme d’insediamento, permanenti o temporanee, e i tipi delle dimore rurali sono pure in stretto rapporto con le condizioni fisico-economiche dell’ambiente. Fra i fattori di differenziazione in montagna dominano l’altitudine e la morfologia, da cui dipendono non solo i limiti dell’insediamento permanente e temporaneo, ma le stesse strutture architettoniche della casa rurale. In pianura invece prevale il fattore agrologico, che determina una differenza di caratteri colturali fra 1’« alta » e la « bassa » ed influisce così indirettamente sulla forma e sulle dimensioni delle abitazioni. Non vanno però trascurati i fattori etnico-storici, importanti nelle regioni di confine, da cui derivano influssi di stile estranei alla regione in cui si sono diffusi, anche senza che sussistano i fattori geografici che altrove li hanno determinati.

    Poco si sa della casa rurale del più lontano passato. E probabile che nel periodo romano fosse diffuso un tipo di dimora non molto dissimile da alcuni rustici pagliareschi, ormai quasi del tutto scomparsi, della bassa pianura friulano-veneta, e dai casoni pescherecci che ancora sopravvivono nelle lagune di Grado e di Marano. Forse già nell’alto Medio Evo apparvero le « corti » friulane, su cui si affacciavano grandi case in muratura con un tetto di paglia molto inclinato che copriva il sottetto, adibito a fienile e granaio e i sottostanti locali adibiti a cucina, stalla e dormitorio, disposti in un unico piano; il focolare era naturalmente esterno, per evitare la possibilità d’incendi. Solo verso il secolo XVI, con il dominio veneto, cominciò a diffondersi un tipo più moderno, con un secondo piano riservato ai dormitori, che si affacciavano su di un lungo ballatoio di legno, a cui si accedeva per scale esterne; il focolare era ancora sporgente, ma il tetto era ricoperto di tegole o di scandole e meno inclinato, mentre al pianterreno compare il porticato. L’affermazione di questo tipo potrebbe anche essere collegata alla diffusione del granturco ed è certamente in relazione con un maggiore sviluppo dell’agricoltura.

    Le differenze fra le varie zone erano allora molto più spiccate, sia per la minore frequenza dei rapporti umani che per una maggiore aderenza alle condizioni fisiche ed economiche dell’ambiente. Ma poi, con il progresso dell’architettura ed il miglioramento generale delle condizioni di vita, si passò lentamente a un tipo più recente, con scale interne e senza ballatoio, con il focolare incorporato e il rustico distinto dalla casa di abitazione. Nell’ultimo cinquantennio, infine, è avvenuto un generale rinnovamento edilizio, che ha livellato con le moderne tecniche costruttive buona parte delle case rurali, specie nella parte orientale della regione, che subì gravi devastazioni durante la prima guerra mondiale. Una grande influenza livellatrice sta esercitando l’attrazione dei grandi centri urbani e, in certe zone, l’economia turistica con le sue particolari esigenze, mentre d’altro canto i rinnovamenti e gli ammodernamenti derivano anche dal progressivo miglioramento del tenore di vita delle popolazioni. Nella regione alpina hanno concorso alla scomparsa delle vecchie case anche gli incendi e i terremoti, mentre nella bassa pianura un’intensa azione modernizzatrice è dovuta alla bonifica, cosicché oggi è piuttosto diffìcile riconoscere l’antica architettura rurale, che sopravvive ancora solo nelle aree più appartate e più depresse.

    Tipi di dimore rurali.

    La casa rurale dell’attuale regione è stata studiata nel quadro delle ricerche sulle dimore rurali in Italia promosse dal Centro di Studio per la Geografia Etnologica dallo Scarin nel Friuli e dal Nice nella Venezia Giulia. I due studiosi hanno cercato di riconoscere e descrivere le forme principali, individuandone le rispettive aree di diffusione, avvertendo però che si tratta di tipi più o meno diffusi anche fuori della nostra regione, poiché le sue zone morfologiche fanno parte di regioni naturali più ampie, che risentono per lo più di fattori comuni.

    Il tipo più caratteristico della montagna carnica, alpina e prealpina, è la « casa carnica », dimora padronale ampia e complessa che risale almeno al secolo XV ed è legata all’economia silvo-pastorale ed alla grande proprietà. E caratterizzata da ampie logge e portici arcuati, che creano dei piacevoli giochi chiaroscurali sulla facciata principale. Presenta più piani con scale interne o seminterne, focolare esterno e una piccola corte, ma non è molto dissimile da alcuni tipi non rurali diffusi in altri tempi nella pianura veneto-friulana e tuttora esistenti in altre zone delle Prealpi e degli Appennini, giacché, come dice lo Scarin, la posizione del sottoportico e della loggia corrispondono ad esigenze funzionali, derivanti dalla localizzazione ad altitudine media su rilievi esposti a mezzogiorno.

    Casa di tipo carnico a Claut (Val Cellina).

    Nelle zone più elevate della Carnia dominano alcuni tipi alto-cadorini, caratterizzati da due ampi spioventi poco inclinati, ricoperti di scandole e da un sottetto in legno, parzialmente aperto. Mentre però nei Forni Savorgnani (Forni di Sotto e di Sopra) la casa è completamente in muratura, ricca di ballatoi, a cui si accede da scale esterne, ed il rustico è giustapposto, nella conca di Sauris parte delle strutture architettoniche sono in legno, i ballatoi sono limitati, le scale interne ed il rustico separato. Il tipo dei Forni Savorgnani risente indubbiamente dell’influenza italica, mentre quello di Sauris denuncia invece una derivazione transalpina, di origine germanica.

    Vecchie case a Forni di Sotto.

    Case di tipo «Val Degano » a Valpicetto, presso Rigolato.

    Nelle valli carniche del Degano e dei suoi affluenti predomina invece un tipo in muratura non molto dissimile dalle case della Carinzia, caratterizzato da un tetto a mezzo padiglione, molto inclinato, ricoperto da embrici di terracotta simili alle scandole, disposti a squame di pesce. La casa, interamente in muratura, è separata dal rustico e dispone di scale interne, ma ha il focolare sporgente.

    Nella Val Canale e nel Tarvisiano troviamo naturalmente case di tipo carin-ziano, in cui prevalgono piante allungate, murature complete, scale interne partenti da un atrio e tetto a mezzo padiglione ricoperto da scandole; il rustico è generalmente separato.

    Nella bassa valle del Tagliamento, nelle valli del But e d’Incaroio, nel Canale del Ferro e nell’alta vai Cellina prevale invece un tipo recente, pure in muratura, molto affine a quello di pianura, la cui diffusione è giustificata dalla scarsa altitudine e dall’ampiezza del fondovalle. Presenta spioventi poco inclinati, coperti da tegole ricurve (coppi), è privo di ballatoi e possiede naturalmente scale interne. Rispetto alle case di pianura, questo tipo è caratterizzato però da una maggiore varietà di forme e di dimensioni, a seconda delle possibilità economiche dei proprietari, e presenta adattamenti al loro genere di vita legato alle attività silvo-pastorali.

    Casa tipica del Tarvisiano.

    Nelle Prealpi Gamiche e Giulie le case, completamente in muratura, presentano sulla facciata un lungo ballatoio con le scale esterne o seminterne, hanno il focolare sporgente ed il tetto, poco inclinato, è ricoperto di tegole ricurve (coppi). Talvolta la parte mediana della facciata è rientrante ed al pianterreno può aprirsi una loggia.

    Nell’alta pianura e nelle colline subalpine troviamo la caratteristica « corte » friulana, legata alle forme d’insediamento accentrato, che compare anche sporadicamente in alcune vallate montane e nella « bassa ». Diversamente dalle corti lombarde è certo più primitiva e presenta dimensioni alquanto modeste e forma irregolare. Per la maggior piovosità della zona, non ha l’aia e l’essiccazione dei cereali avviene in un apposito locale coperto. Generalmente appartiene ad un’unica famiglia rurale indipendente, come nella « casa carnica ». Nelle corti più antiche le abitazioni sono contigue ed allineate lungo la strada di accesso, da cui si accede alla corte attraverso un ampio corridoio, che permette il passaggio dei carri e del bestiame.

    Altre volte invece sulla strada si allineano i rustici, ma negli insediamenti più recenti la corte è separata dalla strada solo da un muro, più o meno alto e l’ingresso è dato da un portone ad architrave o ad arco, spesso ricoperto da un tettuccio. Alcune corti sono completamente chiuse fra abitazioni e rustici e possono anche ospitare più famiglie. La disposizione esterna o interna della scala di accesso al primo piano e la posizione del rustico dipendono dalla maggiore o minore primitività della dimora. La prevalenza della scala interna e dei rustici separati nella bassa pianura sono certamente l’indice di un insediamento più recente, che si è sviluppato a partire dal XVII secolo.

    Nella casa rurale del Carso monfalconese e triestino la pietra domina dalle fondamenta al tetto. L’edificio, a due piani e solaio nel sottetto, ha la scala esterna che porta al ballatoio, il focolare è sporgente e il tetto con spioventi poco inclinati, ma sono ormai in gran parte sparite le antiche coperture in lastre calcaree, che si possono trovare ancora ben conservate nella zona di Monrupino. Spesso l’edificio si apre su tre ali attorno ad una corte, aperta verso la strada. L’abilità e l’estro degli scalpellini hanno lasciato la loro impronta nella decorazione degli stipiti e delle architravi. Solo presso Banne, Prosecco e Grozzana alcune capanne di pietra, scavate nello spessore dei muretti carsici, ricordano da lontano le «casìte» dell’Istria meridionale.

    Case della regione carsica a Monrupino, presso Trieste.

    Nei Monti di Muggia ed in genere nella fascia marnoso-arenacea triestina sopravvivono ancora vecchie case in muratura di arenaria senza intonaco, che diversamente dalle case carsiche hanno scale interne e sono senza ballatoi. Tale tipo, definito dal Nice « capodistriano », caratterizza tutta la cosiddetta « Istria gialla ».

    L’insediamento temporaneo stagionale è diffuso nella regione montana in una fascia altimetrica più o meno elevata, che sovrasta le sedi permanenti, fino al limite superiore dei pascoli. E costituito dalla zona degli « stàvoli », dimore familiari di mezza stagione, che si spingono al massimo fino ai 1700-1800 m. e dalla zona delle « casere », sedi dell’organizzazione pastorale collettiva estiva, che raggiungono quasi dovunque i 2000 m., oltre i quali non c’è più alcuna forma d’insediamento.

    Vedi Anche:  Fiumi e golfi

    Gli stàvoli presentano caratteri strutturali e architettonici molto diversi, a seconda che si trovino nella zona alpina o in quella prealpina. I primi, a cui sono attribuite funzioni ben definite, hanno tradizioni molto antiche. Il legno domina non solo nelle sovrastrutture, ma anche in buona parte o in tutta la costruzione. Si possono distinguere tre forme principali. Il tipo dei Forni Savorgnani è a pianta rettangolare, in legno e muratura, e presenta al pianterreno una stalla centrale, affiancata dai minori locali, adibiti a cucina e dormitorio. Il fienile è sopra la stalla ed il tetto consta di due ampi spioventi poco inclinati, rivestiti di scandole, che appiattiscono la costruzione. Il tipo della conca di Sauris è invece a pianta quadrata, tutto in legno, con ballatoi che fungono da seccaiole, senza locali per la famiglia contadina, con un tetto meno pesante. Il tipo vai Degano è per lo più in muratura, e presenta, affiancato al nucleo costruttivo della stalla-fienile, un piccolo corpo laterale con la cucina e, sopra di questa, il dormitorio. Gli spioventi del tetto, in scandole di terracotta o di legno, sono molto inclinati.

    Stàvolo presso Sauris.

    Stàvolo con coperto in paglia nella vai Degano, presso Collina.

    Casera Vermost nell’alta valle del Tagliamento.

    Gli stàvoli della zona prealpina sono invece molto simili alle dimore permanenti e fanno scarso uso del legno, soprattutto per la povertà del manto forestale prealpino. Le forme sono molto varie, ma prevale la pianta rettangolare, con la stalla e la cucina, quasi di pari grandezza, al pianterreno, ed il fienile con il dormitorio al primo piano. Gli spioventi, poco inclinati, sono ricoperti da «coppi». Nella Val Canale e nel Tarvisiano lo stàvolo è molto poco diffuso.

    Per quanto riguarda le casere, vi è un tipo alpino carnico formato da un’unica costruzione (casera più stalla) che racchiude un ampio cortile. Nelle Prealpi Carniche invece mancano quasi del tutto gli edifici minori, perchè il pernottamento si svolge per lo più all’aperto, in appositi recinti, e la casera stessa ha dimensioni molto ridotte. Nelle Alpi e Prealpi Giulie prevale invece un insediamento pastorale non collettivo e non industrializzato, costituito da casoni separati, che formano dei veri e propri villaggi estivi.

    Nelle lagune di Marano e di Grado si possono ancora trovare alcune forme residuali di dimore temporanee unicellulari, che servono alla pesca valliva. Si tratta di capanne in legno e canne palustri, denominate « casoni », che poggiano su una piattaforma ottenuta scavando dei canaletti laterali e rinforzata da pali e pietre. La costruzione ha una pianta quadrangolare con angoli smussati ed è sorretta da pali verticali, collegati da altri orizzontali, su cui viene stesa la paglia a sezioni sovrapposte, spioventi verso l’esterno. Il tetto è formato da quattro spioventi molto inclinati, con i margini arrotondati, di cui è tronco quello che sovrasta l’unica porta, opposta alla direzione della « bora », mentre presenta un’apertura a foggia di abbaino per l’uscita del fumo. I casoni, che hanno la funzione di dormitori e di depositi per gli arnesi da pesca, sono abitati nella stagione estiva, talvolta a rotazione da più famiglie. Sono generalmente allineati lungo i principali canali, allo sbocco dei fiumi di risorgiva, ma vanno rapidamente sparendo e sono solo parzialmente sostituiti da costruzioni in muratura, perchè la vallicoltura non ha più l’importanza di una volta.

    Situazione e carattere dei centri

    Secondo il censimento del 1951 nel Friuli-Venezia Giulia ci sono in tutto 952 centri abitati, di cui 848 nella sola provincia udinese (vedi Tabella XI). Si tratta per lo più di piccoli centri rurali al di sotto dei 1000 ab., mentre dei centri maggiori solo 15 riescono a superare i 5000, ospitando però il 37% di tutta la popolazione. Nove di questi si trovano nella provincia di Udine (Udine, Pordenone, Cordenòns, Cividale, Gemona, Maniago, San Daniele, Sacile, San Vito al Tagliamento), cinque in quella di Gorizia (Gorizia, Monfalcone, Ronchi dei Legionari, Grado, Cormòns) e uno, cioè il capoluogo, in quella di Trieste. Dieci di questi centri non raggiungono però neanche i 10.000 ab., mentre gli altri cinque superano tutti i 20.000 ed hanno una vera e propria dignità urbana. Fra questi vi è una sola grande città, Trieste (259.167 ab.), mentre le altre sono di gran lunga inferiori.

    La massima parte dei centri si trova nella pianura e nella collina dove sono localizzati anche tutti i centri maggiori. La densità è pertanto molto eterogenea, poiché sta in rapporto alle diverse condizioni morfologiche e idrogeologiche. Il massimo addensamento si verifica nelle colline dell’anfiteatro morenico tilaventino, fra Gemona e Udine, ed in genere nell’alta pianura friulana orientale, fin sopra la zona delle risorgive. Una zona di forte densità si trova però anche ad occidente del Tagliamento, a valle della linea di risorgenza, mentre invece i centri si fanno più rari nei « magredi » dell’alta pianura occidentale, nella zona lagunare e nel Carso. In montagna, dove esistono precisi limiti altimetrici e morfologici, la densità dei centri è molto minore, ma non mancano alcune significative concentrazioni nella Carnia centrale, nelle conche di Tolmezzo e Villa Santina e nella vai Degano.

    La localizzazione dei centri risponde a svariati fattori fisici, economici e storici. In pianura si possono osservare alcuni caratteristici allineamenti nelle zone di transizione fra le diverse regioni naturali, che costituiscono alcuni fra i più tipici esempi di insediamento in serie. La più rilevante è senza dubbio la serie delle risorgive, fra il Tagliamento e il Torre, sorta in periodo medievale, quando le particolari condizioni di insicurezza consigliavano di evitare le principali vie di comunicazione, preferendo località di rifugio, forestali o collinari, in prossimità dell’acqua ed in buone condizioni per lo sviluppo di una duplice economia silvo-pastorale. Questa serie consta di due allineamenti di centri, rispettivamente a monte ed a valle di tale zona idrografica, che si sviluppano a guisa di cateti di un triangolo isoscele, la cui base si trova sul letto del Tagliamento, fra Codròipo e Varmo, ed il vertice a sud di Palmanova. L’allineamento più settentrionale, a contatto con i terreni aridi superiori, si trova a valle dell’antica via Postumia, denominata poi « Stralci Hungarorum », e la tortuosa strada che successivamente sorse per collegare questi centri venne chiamata « Stradalta ». Da occidente ad oriente si susseguono Codròipo, Passariano, Bertiolo, Fiambro, Talmassòns, Flumignano, Castiòns, Mor-sano, Gonàrs, Fauglis e Bagnaria Arsa. L’allineamento meridionale è invece più modesto e comprende Rivignano, Flambruzzo, Ariis, Torsa, Paradiso e Porpetto.

    Insediamento in serie lungo la zona delle risorgive.

    Un’altra serie di centri si è sviluppata nella fascia di contatto fra la bassa pianura e la zona lagunare, al limite della navigabilità dei maggiori fiumi di risorgiva.

    Si tratta di considerevoli centri commerciali, un tempo importanti porti fluviali, a cui facevano capo le vie di comunicazione transalpine, collegati longitudinalmente da una strada denominata « Callalta ». Da occidente ad oriente troviamo Porto-gruaro sul Livenza, che ora però fa parte della provincia di Venezia, Latisana sul Tagliamento, Palazzolo sullo Stella, Muzzana sul Turgnano, San Giorgio di Nogaro sul Corno e Cervignano sull’Ausa.

    L’ultima serie longitudinale di pianura è quella pedemontana, pure di origine medievale, che risponde alle esigenze difensive ed economiche di quel periodo storico. Questi centri, appoggiati ai rilievi subalpini, si fondavano infatti su un’economia mista di pianura e di montagna e, se erano situati allo sbocco delle vallate, potevano svolgere un’importante funzione commerciale di intermediazione fra le due diverse regioni economiche o addirittura, in alcuni casi, controllare il commercio di transito transalpino. Un primo allineamento è riscontrabile lungo l’arco delle Prealpi Carniche, al margine settentrionale dei « magredi ». Fra le sorgenti del Livenza ed il Tagliamento si susseguono Polcenigo, Budoia, Dardago, Aviano, Marsure, Giàis, Selva, Malnisio, Grizzo, Montereale Cellina, Maniago, Fanna, Cavasso Nuovo, Meduno, Travesío e Pinzano. Lungo l’arco prealpino orientale una particolare importanza hanno i centri che controllano la via transalpina del Tagliamento e precisamente Venzone, Gemona (tipico centro di conoide), Artegna, Tarcento, Tricésimo, mentre allo sbocco delle vallate prealpine troviamo Nimis, Faèdis, Cividale, Cormòns, assieme a molti centri minori di semplice contatto morfologico. Infine allo sbocco dell’Isonzo vi è la città di Gorizia, certamente la più importante di questa serie, che prosegue poi con un allineamento pedecarsico eminentemente stradale, lungo il margine sudoccidentale del Carso monfalconese, dove troviamo Sagrado, Fogliano, Redipuglia, Ronchi dei Legionari, Monfalcone e San Giovanni di Duino.

    Centri abitati e aree temporaneamente abitate e disabitate (cens. 1951 ).

    In pianura però va rilevato ancora una interessante serie trasversale, che si sviluppa in duplice fila sui terrazzi fluviali del Tagliamento, dalla stretta di Pinzano alla base della grande conoide alluvionale. Sono per lo più centri di guado, che hanno approfittato di una morfologia rilevata e delle possibilità di rifornimento idrico derivanti dal fiume, ben al riparo tuttavia dalle sue piene. Il migliore allineamento si trova sulla riva sinistra, dove si susseguono, da nord a sud, Villanova, Car-pacco, Vidulis, Dignano, Bonzicco, Sant’Odorico, Turrida e Rivis. Sulla riva destra troviamo Valeriano, Gaio, Baseglia, Spilimbergo, Gradisca e, parallelo, un altro allineamento sul terrazzo destro del torrente Cosa: Lestàns, Vacile, Istrago, Tauriano, Barbeano e Provesano.

    Nella regione collinare comincia ad assumere particolare importanza la situazione topografica dei centri, che sorgono generalmente sulla sommità dei rilievi, dando luogo a un paesaggio quanto mai pittoresco. Come ha rilevato molto bene il Gribaudi nel volume I di questa Collana, tale localizzazione risponde all’ubicazione dei terreni agrari più fertili e meglio esposti, adatti a quelle colture che, come la vite, il gelso e il frutteto, richiedono maggiori cure. Naturale quindi che i centri aziendali siano sorti in alto, prescindendo molto spesso dalle considerazioni strategiche, a cui si dà talvolta un eccessivo peso. Va segnalata in particolare la serie di centri apicali o di pendio che accompagna la cerchia esterna dell’anfiteatro morenico, al margine fra la collina e la pianura; da occidente ad oriente troviamo Ragogna, San Daniele, Arcano, Fagagna, Moruzzo, Brazzacco, Luseriacco e Tricesimo.

    Prima di passare alla regione montana, è interessante osservare anche la distribuzione dei centri sul Carso triestino, che obbedisce alla morfologia degli antichi solchi fluviali, in rapporto alla presenza dell’acqua e dei migliori depositi di terra rossa e all’esposizione topografica rispetto alla bora. Caratteristici allineamenti si riscontrano lungo l’asse principale del solco dell’antico Timavo, su cui sorgono Basovizza, Trebiciano, Poggioreale, Borgo Grotta Gigante, Gabrovizza e Sistiana, e lungo i dolci pendii dei suoi versanti in corrispondenza dei principali valichi. Un numero maggiore di centri si trova sul versante destro, ben esposto a solatìo e al riparo dalla bora, dove si allineano Zolla, Rupingrande, Rupinpiccolo, Sgònico, Sales, San Pelagio, Slivia e Visogliano. Sul versante sinistro, sotto il crinale dell’altipiano, sorgono Banne, Prosecco, Santa Croce, Aurisina e Duino. Un’altra serie si sviluppa poi sul versante marittimo alla base marnoso-arenacea del ciglione carsico, dove affiorano al contatto fra i due diversi terreni numerose sorgenti, e precisamente San Giuseppe della Chiusa, Sant’Antonio in Bosco, Bagnoli della Rosandra e San Dorligo della Valle.

    Bagnoli della Rosandra, centro sorto al contatto fra la zona calcarea e quella marnoso-arenacea ed alluvionale.

    Nella regione montana i centri si addensano nei fondi vallivi più ampi e soleggiati che sono anche le più facili vie di comunicazione, lungo i terrazzi fluvio-glaciali ed i pendii meno acclivi dei versanti a solatìo, dovunque sia disponibile un lembo di buona terra coltivabile, compatibilmente con i limiti alti metrici delle colture. Le più tipiche associazioni lineari sono quella della vai Pesarina (Pesariis, Osàis, Pièria, Prato Carnico, Avausa, Sostasio) e quella di Forni di Sopra (Vico, Cella e Andrazza quasi fusi insieme). Un altro tipo di aggruppamento di centri è quello a festone, che si osserva presso le principali confluenze, dove il centro maggiore sta di solito in basso, sulla strada più importante, mentre quelli minori gli fanno corona intorno. Il migliore esempio lo troviamo nella conca di Comegliàns, alla confluenza della vai Pesarina e della Valcalda nella vai Degano (Maranzanis, Povolaro, Mieli, Cal-garetto e Runchia). Le associazioni non sono però sempre così numerose e si riducono spesso soltanto ad una coppia, sulle opposte sponde di un corso d’acqua, come Chiusaforte e Raccolana, Tolmezzo e Càneva, o su due terrazzi separati da un breve pendio, come Ovasta e Luincis, nella vai Degano. Non mancano poi alcuni tipici centri doppi, come Forni Avoltri, Moggio di Sotto e di Sopra, Pontebba e Pontebba Nuova, ecc.

    Vedi Anche:  Trieste, Gorizia, Udine, Pordenone e Montefalcone

    La distribuzione altimetrica dei centri montani è molto variabile, cosicché in una stessa vallata si possono avere dislivelli molto notevoli, come per esempio nella vai Degano fra Villa Santina (m. 362) e Collina (m. 1246) e ciò influisce anche sul limite delle colture, per il grande peso che esercitano nei lavori agricoli la distanza ed il dislivello fra i campi ed il centro abitato. Si può osservare però un certo abbassamento dei limiti altimetrici dei centri procedendo daH’interno verso l’esterno della fascia alpina e da occidente verso oriente; nel primo caso per ragioni prevalentemente morfologiche, nel secondo invece per il generale abbassamento di tutti i limiti altimetrici fisico-climatici, di cui abbiamo già fatto cenno. Nella fascia prealpina raggiungono invece una maggiore elevazione i centri delle Prealpi Giulie, favoriti dalla maggiore estensione della fascia marnoso-arenacea.

    I centri non superano generalmente mai il limite altimetrico naturale del granoturco, che in Carnia però oltrepassa frequentemente i 1000 metri. I 1400 m. sono raggiunti da Sauris di Sopra (258 ab.), che giace ai piedi di un’ampia fascia pastorale su cui si impernia la sua economia e quella degli altri centri della conca (Latèis e Sauris di Sotto), pure sopra i 1000 metri. Seguono per altitudine Collina (m. 1246), che si trova su un ottimo terrazzo assolato ai piedi della Catena Carnica, sul versante sinistro del Degano, e più a valle, su un pendio piuttosto ripido, Givigliana (m. 1120). Nella valle del Tagliamento il centro superiore è Vico (m. 907), presso Forni di Sopra, ed alla stessa quota culmina l’insediamento permanente nella valle del But, a Clèulis. Ma già nel Canale d’Incaroio i limiti sono inferiori di un centinaio di metri e nel Canal del Ferro i centri di Aupa (m. 930) e Studena Alta (m. 806), nella valle laterale del rio Pontebbana, sono più che altro delle eccezioni, perchè gli altri non raggiungono neanche i 700 metri. Nella Val Canale e nel Tar-visiano il primato altimetrico spetta a Cave del Predi 1 (m. 906), ma si tratta di un centro minerario, svincolato dai limiti fitoclimatici. Nelle Prealpi Carniche il centro più elevato è Casso (m. 951), nella valle del Vaiònt, ma è anch’esso un’eccezione, perchè gli altri centri non raggiungono neanche i 700 metri. Nelle Prealpi Giulie invece sono parecchi i centri che superano questa quota, fra cui il più elevato è Montemaggiore (m. 954), nell’alto Natisone (comune di Taipana).

    Forni di Sopra deriva dall’associazione dei tre centri di Vico, Cella e Andrazza.

    Collina: uno dei più elevati centri della regione (m. 1246).

    Molto interessante sarebbe anche poter esaminare la struttura topografica dei centri, che riflette le condizioni economiche e sociali del periodo storico in cui essi hanno avuto origine e di quelli in cui si sono sviluppati. Così i centri di origine romana, come Aquileia, Cividale (Forum Iulii) e Trieste, presentano nel loro nucleo più antico la caratteristica pianta a graticolato dei « castra », con le due strade principali disposte ad angolo retto fra loro. I centri di origine medievale, che sono poi la grande maggioranza, hanno una pianta per lo più radiale, con strade strette e tortuose convergenti nella piazza del mercato, dove ci sono la chiesa e il pozzo. I centri dell’età moderna, che si sviluppano per lo più lungo una via di comunicazione, hanno una caratteristica disposizione allungata, frutto talvolta delle fusioni di più centri minori. Vi è poi anche Palmanova, magnifico esempio di città fortificata moderna, costruita dai Veneziani nel 1593 per difendersi dai Turchi e dagli Imperiali, la quale ha una caratteristica pianta stellare bastionata, con un tracciato radiale di strade convergenti nella grande piazza esagonale e potrebbe ospitare una popolazione molto maggiore a quella che vi abita.

    Cave del Predìl (m. 906), centro minerario; è il più elevato della Val Canale.

    Nell’età moderna molti centri fortificati abbattono le loro mura e scendono dalle loro sedi disagiate verso il fondovalle o la pianura, mentre cominciano a sorgere borghi e città a piante regolari. Col progresso delle comunicazioni i centri proliferano lunghe digitazioni stradali e moderni quartieri presso le nuove stazioni ferroviarie, dando luogo a caratteristici contrasti architettonici fra il nucleo vecchio e i nuovi accrescimenti, come accade a Trieste, fra la città vecchia e la città nuova, a Udine, Gorizia e Pordenone, fra le città murate e le digitazioni recenti; ma anche nelle vecchie aree urbane ormai ferve il rinnovamento edilizio, cosicché i contrasti più forti si notano oggi nei centri minori, come Grado, che si è visto affiancare un moderno agglomerato turistico, oppure Gemona, dove le nuove case avanzano ordinate nell’estesa conoide.

    Maggia: il centro vecchio e le nuove digitazioni urbane.

    Grado: l’unico centro insulare della regione.

    Veduta di Torviscosa: nuovo centro della Bassa Friulana sorto accanto allo stabilimento per la produzione della cellulosa.

    Nuovi centri razionali sono dovuti alle recenti opere di bonifica, e fra questi il più importante è senza dubbio Torviscosa, sorta vent’anni or sono al posto della vecchia Torre di Zuino, che oggi conta circa 1700 abitanti. Infatti la Società Agri-colo-Industriale Cellulosa Italiana, parallelamente al sorgere delle attività agricole e industriali, ha affrontato e risolto anche il problema della vita sociale, che si presentava in una luce assolutamente nuova in quella plaga della Bassa Friulana sottratta ad un abbandono di secoli e ad una povertà ritenuta fino ad allora invincibile. Gran parte delle popolazioni limitrofe tendevano infatti a fissarsi stabilmente intorno alle nuove fonti di lavoro, localizzando così un complesso di esigenze logistiche che bisognava soddisfare. Con armoniosa alternanza di edifìci e di zone verdi, contemporaneamente alle abitazioni, sorsero il palazzo comunale e la piazza, le scuole, il grande teatro-cinematografo, il « Ristoro », la biblioteca, i luoghi di ritrovo, i campi sportivi, la piscina e trovarono la loro sistemazione i negozi, i magazzini, gli uffici, la banca ed ogni altro servizio necessario alla vasta zona di insediamento sparso che gravita sul centro aziendale. Torviscosa è ora una bella città-giardino, con sullo sfondo i grandi impianti industriali.

    Numerosi centri minori aziendali sono sorti in tutta la Bassa Friulana e Mon-falconese, caratterizzati dallo scarso numero di case di abitazione in confronto agli edifici che ospitano i servizi dell’azienda e della collettività che vive sparsa nei poderi aziendali. Portano generalmente il nome della tenuta o dei proprietari, ma fra i nomi nuovi il più significativo è quello di Terranova, nella bonifica dell’Isola Morosini. In qualche centro non si è ancora affermato un nome unico, come per la Peschiera del Timavo o Villaggio del Pescatore o Villaggio San Marco e per la Borgata rurale della bonifica Vittoria o Fossaiòli. Un chiaro esempio di toponomastica pianificata ci è offerto dall’Ente delle Tre Venezie, operante sia nella Bassa Friulana che nei « magredi » dell’alta pianura occidentale, il quale ha distribuito i nomi degli antichi centri veneti, come Torcello, Rialto, Concordia, Aitino, Adria, allo scopo di tramandare l’origine veneta dell’ente bonificatore e dei nuovi abitanti.

    Nuovo centro aziendale nella Bonifica della Vittoria (Fossalòn).

    Villaggio San Nazario (Trieste), nuovo centro per i profughi giuliani sorto fra le pietraie dell’altipiano carsico.

    Non vanno poi dimenticati i numerosi villaggi residenziali creati in questo dopoguerra nella provincia di Trieste, per dare alloggio ai profughi istriani, come i villaggi San Mauro e San Nazario che ricordano i santi protettori delle antiche cittadine istriane. Questi centri sono frutto di un piano preordinato alla sistemazione rapida delle famiglie non rurali di profughi e con la loro tipica fisionomia urbana creano un forte contrasto con il paesaggio rurale carsico in cui sono inseriti.

    Un particolare tipo di centro sta poi sorgendo in collina presso il porto industriale di Zaule: si tratta di una città satellite di Trieste, denominata Borgo San Sergio, che sarà un gioiello dell’urbanistica moderna ed accoglierà circa 10.000 abitanti.

    I nomi dei centri

    Molto vario risulta anche il quadro toponomastico regionale, che riflette non solo le origini storiche dei centri, ma anche molto spesso quelle etniche. Molto significative sono le desinenze terminali dei toponimi, che hanno talvolta una propria area di diffusione più o meno estesa. Di origine celtica sono numerosi centri dell’alta pianura, i cui nomi terminano in -acco, come Martignacco, Adegliacco, Cassacco, Faugnacco, Remanzacco, ecc., e quelli meno diffusi che hanno le desinenza in -ago, molto comune nel Veneto e in Lombardia, come Maniago, Istrago, Dardago, ecc. Di origine romana sono invece la maggior parte dei toponimi in -ano, che derivano da un aggettivo patronimico che veniva fatto seguire alla parola praedium.

    Questi toponimi sono soprattutto diffusi nella bassa pianura orientale, nell’agro aquileiese, dove troviamo Mariano (da praedium Marianum), Sta-ranzano, Papariano, Begliano, Soleschiano, ecc. Di origine romana sono anche i toponimi stradali, che derivano il nome dalle pietre miliari delle strade consolari, come Terzo di Aquileia, Sesto al Règhena e Tricesimo. Le invasioni barbariche hanno pure lasciato alcune tracce, ad opera dei Longobardi, a cui si devono i toponimi di Farra e Sala, mentre di probabile origine bizantina sono quelli che ricordano opere stradali regie, come Baseglia, Basegliapenta, Basiliano. Le terre devastate dai barbari, lungo la « Vastata Hungarorum » ed il corso del Tagliamento, furono ripopolate da coloni slavi che, pur essendo stati rapidamente assimilati dalle popolazioni friulane, hanno lasciato una ricca toponomastica, caratterizzata dalle desinenze -icco, -izzo, -izza, e dalle radici grad e gor, come Sclaunicco, Paston-cicco, Gorizzo, Santa Marizza, Belgrado, Gradisca, ecc., senza contare poi i vari Romàns e Sclavòns che ricordano gli opposti insediamenti etnici. Naturalmente è tutta slava la toponomastica delle valli del Natisone e del Canale di Resia, del Collio, del Carso, nonché quella di alcuni centri della vai Canale e del Tarvisiano.

    Il Borgo S. Sergio, centro satellite di Trieste, sta sorgendo presso il porto industriale di Zaule.

    Di origine tedesca sono invece i toponimi che finiscono in -ergo, come Spilim-bergo, Solimbergo, Soffumbergo, ed altri come San Giorgio della Richinvelda, Partistagno, Strassoldo, ecc. Tipica, ma non esclusiva dei tempi medievali, è la toponomastica sacra, che però talvolta ci permette di riconoscere centri molto antichi, che prendono il nome dei primi martiri cristiani, come San Canziano d’Isonzo, o centri legati ad una particolare attività, di cui il Santo è protettore. Molto interessanti sono anche i numerosi toponimi legati ai fenomeni fisici morfologici o idrografici, che abbondano soprattutto nella regione montana, come Collina, Tramonti, Rigolato, Paluzza, Pedemonte, Somplago, Trasaghis, Fiume Veneto, Fontanabona, Fontanafredda, ecc. Una grande categoria di toponimi ricorda invece il manto vegetale, come Prato, Frassenetto, Povolaro, ecc. Una preziosa testimonianza ci viene in particolare da un gruppo di fitonimi dell’alta pianura orientale e della zona delle risorgive, che ricordano una ricca vegetazione forestale, oggi scomparsa, come Silvella, Nogaredo, Carpenedo, Nespoledo, Corgnolo, Roveredo, ecc. Toponimi di derivazione economica sono quelli minerari di Forni (Avoltri, di Sotto e di Sopra) e Fusine, quello portuale di Pordenone, quelli stradali di Codròipo (quadrivio), Treppo (trivio). Ma il quadro è vastissimo e ci basta solo averlo dischiuso all’interesse dei lettori.