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Ghiaccia, fiumi e laghi

    Le acque

    Caratteristiche generali

    La Lombardia è una regione tra le più dotate e forse la più ricca di acque superficiali dell’Italia. Ciò dipende da molteplici cause ed essenzialmente, com’è ovvio, dalle precipitazioni atmosferiche, dalla loro quantità e distribuzione nel tempo. Ma poiché sotto tale aspetto la Lombardia non gode di condizioni notevolmente diverse da quelle delle regioni adiacenti, Piemonte e Venezie, bisogna aggiungere che a contribuire alla ricchezza idrica della Lombardia intervengono la struttura, la litologia, la morfologia e l’altimetria, le quali possono influire in diversi modi, ma, per quel che riguarda la Lombardia, influiscono soprattutto nel ritardare (in quel gran ciclo dell’acqua che viene dal mare e al mare ritorna) l’afflusso delle acque al mare. Si potrebbero citare, come esempio caratteristico, le nevi e soprattutto i ghiacciai nell’ambito alpino; ma non sono questi gli aspetti più tipici della Lombardia, superata dal Piemonte, quanto i grandi e numerosi bacini lacustri, serbatoi che costituiscono una notevole riserva idrica, e i fontanili, le tiepide sorgenti di pianura che danno un contributo prezioso all’irrigazione della bassa pianura.

    La Lombardia, sotto l’aspetto idrico, appare quindi una regione privilegiata: essa annovera sulle Alpi circa duecento ghiacciai (senza contare la parte svizzera), che, per quanto di modeste dimensioni, complessivamente costituiscono una notevole riserva che si arricchisce nell’inverno per emungere nell’estate; essa ha laghetti alpini, in genere minuscoli, ma il cui bacino ha spesso favorito la costruzione di sbarramenti per ingigantire la loro capacità idrica; essa ha laghi di ampio e profondo bacino, scaglionati nella fascia prealpina con funzioni di provvidi serbatoi naturali, nei quali le acque fluviali torbide e fredde decantano e intiepidiscono; essa ha ricchezza di sorgenti perenni in montagna e di resorgive nel piano; essa, infine, ha fiumi che scorrono attraverso tutta la regione e, pur essendo tutti tributari del Po, sono tra i maggiori dell’Italia per portata e i meno capricciosi per regime. Naturalmente non ogni lembo del territorio è ugualmente favorito, ma senza dubbio la Lombardia deve in parte anche alla disponibilità complessiva di acqua la sua attuale prosperità.

    Le fronti dei ghiacciai di Fellaria (orientale e occidentale), nel gruppo del Bernina, quali ancora si presentavano nel 1928.

    Le fronti dei medesimi ghiacciai di Fellaria nel 1953.

    I ghiacciai

    Il limite medio delle nevi persistenti sul versante lombardo oscilla intorno ai 2800 m. sul mare, con variazioni da zona a zona: 3000 circa nel gruppo del Cevedale, 2950 nella media Valtellina, 2850 neH’Adamello, 2700 nelle Orobie. La superficie al di sopra del limite altimetrico medio, escludendo il territorio svizzero, è modesta, approssimativamente l’1,5% del territorio lombardo, ma in essa si formano gli accumuli di neve che danno luogo ai ghiacciai (nella Lombardia orientale, all’uso delle Alpi orientali, chiamati anche vedrette), quei candidi drappeggi dell’alta montagna, debordanti anche al di sotto del limite delle nevi persistenti, che conferiscono al paesaggio un aspetto talmente pittoresco che spesso all’estasiato visitatore fa obliare di quanta utilità essi siano nel quadro dell’economia moderna. Come è noto, l’area glacializzata sul versante meridionale delle Alpi è minore che sul versante opposto e attualmente, purtroppo, si è in un periodo di rilevante regresso generale, ossia la massa di neve invernale che alimenta i ghiacciai non è tale da compensare la fusione estiva dei ghiacciai stessi, per cui diminuiscono di volume e di superficie; e ciò è riscontrabile anche in Lombardia. Infatti solo trent’anni fa (decennio 1920-30) l’area glacializzata propriamente lombarda (ossia esclusa la parte ticinese) era calcolata in circa 150 kmq. e distribuita tra 239 ghiacciai; per contro una recente indagine di un eminente glaciologo, il Nangeroni, ha accertato che di essi, nel 1953, ben 66 tra i minori, pari al 28%, erano da cancellarsi dal novero, alcuni ridotti ormai ad esili placche, altri addirittura scomparsi del tutto.

    Fronte del ghiacciaio del Forno (settembre 1951 )-Il tratteggio a sinistra indica il livello del ghiacciaio nello scorso secolo.

    In conseguenza del contrarsi della superficie dei ghiacciai (calcolato alla fronte di un valore medio generale di 9 m. all’anno), si è anche rilevato che colate precedente-mente unitarie si erano sdoppiate per emersione di setti rocciosi di divisione, sicché si dovevano conteggiare 18 nuovi piccoli ghiacciai. Di conseguenza il numero dei ghiacciai attuali risulta di 191, con una riduzione della superficie molto varia dall’uno all’altro, ma probabilmente del 20% di media rispetto al 1920-30; ossia l’area glacializzata attuale si aggira attorno ai 120 chilometri quadrati.

    La vedetta di Scerscen inferiore nel gruppo del Bernina (settembre 1938). Di sfondo il Piz Tramoggia (3441 m.).

    L’area glacializzata è esclusiva della zona alpina e si espande in particolare nei gruppi del Cevedale e del Bernina; meno notevole, ma non trascurabile è quella dell’Adamello. Nel complesso si hanno 39 ghiacciai nel gruppo del Cevedale, 33 nel gruppo del Bernina-Disgrazia (versante di val Malenco e di val Codera) e 25 nel gruppo del Badile-Disgrazia (versante di vai Màsino e di val Codera), 27 nel gruppo dell’Adamello e, infine, 13 nella zona dello Spluga, 20 nei gruppi Dosdè e Piazzi, 13 nel Livignasco e 21 nelle Orobie, nelle quali si è avuto il più alto numero di ghiacciai scomparsi (20) nel volgere di un solo trentennio.

    In genere i ghiacciai lombardi sono piccoli, ma non ne mancano alcuni estesi; appartiene anzi alla Lombardia il massimo ghiacciaio delle Alpi italiane, il ghiacciaio del Forno, nel gruppo del Cevedale, che misura circa 22 kmq. e si allunga per 5,5 km. discendendo con la sua fronte a 2200 m. sul mare. Notevoli sono anche il ghiacciaio del Mandrone, nel gruppo deU’Adamello (kmq. 12), i due ghiacciai di Scerscen (kmq. 7 e 5), che sino al 1940 congiungevano le loro fronti, e i due di Fellaria (kmq. 8 e 6), pure separatisi di recente, nel gruppo del Bernina.

    I laghi

    Attribuiti per lo più all’opera di modellamento di un fenomeno glaciale di ben più vaste proporzioni di quello attuale, ossia all’espansione glaciale avvenuta agli albori del Quaternario, sono i grandi laghi prealpini che costituiscono una delle caratteristiche idrologiche più peculiari della Lombardia. I maggiori si allungano per una sessantina di chilometri e anche più, a guisa di tortuosi budelli, tra la zona alpina e la zona collinare attraversando tutta la fascia delle Prealpi ; sono il lago Maggiore, che fa da limite tra la Lombardia e il Piemonte e il cui apice settentrionale appartiene al Canton Ticino (Svizzera), il lago di Como e il lago di Garda che fa da limite tra la Lombardia e il Veneto e il cui apice settentrionale rientra nel Trentino; i minori sono il lago di Lugano, il cui tortuoso sviluppo s’annoda al confine politico con la Svizzera, il lago d’Iseo e il lago d’Idro. Va annoverato tra i laghi prealpini anche il piccolo lago d’Endine, intravallivo.

    Il lago Maggiore o Verbano si allunga al margine occidentale della Lombardia con direzione complessiva da nordest a sudovest, snodandosi dalle poderose dorsali meridionali delle Lepontine sino alle colline dell’anfiteatro ticinese. Tra le due bocche del Ticino come immissario a nord e come emissario a sud intercorrono poco più di 50 km. in linea d’aria e 66 considerando le tortuosità, tuttavia modeste, del suo sviluppo. La larghezza oscilla da 3 a 4 chilometri e mezzo (Cànnero Riviera-Germi-gnaga) e presenta una sola tozza ramificazione, il golfo Borromeo, sulla costa piemontese, dando luogo alle prospettive più pittoresche nelle quali s’inquadrano le isole Borromee. Il suo specchio, a un livello medio di 194 m. sul mare, si estende per 212 kmq. di superficie (sino a 220 nelle massime piene) e risulta quindi, per ampiezza, il secondo dei laghi italiani, preceduto solo dal lago di Garda. La sua conca a navicello, nella quale sbocca a guisa di valle sospesa la conca secondaria del golfo Borromeo, raggiunge la massima profondità di 372 m., 178 m. quindi sotto il livello del mare. La sponda lombarda del lago è altimetricamente meno elevata di quella piemontese; questa, di forme più aspre, è scolpita per lo più in masse cristalline (micascisti, gneiss e graniti), quella invece, tra Luino e Angera, in formazioni calcaree mesozoiche, il che fa presumere che il lago si allunghi lungo l’asse di una grandiosa frattura. Nella parte meridionale del lago, poi, sulla sponda lombarda la montagna cede il posto alla collina offrendo più spaziosi e riposanti orizzonti.

    La punta d’Ispra sulla sponda lombarda del lago Maggiore.

    Il bacino imbrifero del lago è molto esteso: va dal monte Rosa all’Adula. Oltre al Ticino e ai tributari della sponda piemontese (il Verzasca, il Maggia, che forma l’amplissimo delta su cui sorge Locamo, e il Toce), scaricano le loro acque nel Verbano anche il lago di Lugano, per mezzo del fiume Tresa, e i laghi varesini di Varese, di Monate, di Comabbio, di Ganna e di Ghirla. I mesi di maggior afflusso di acque sono l’aprile e il maggio, l’ottobre e il novembre; allora il livello del lago Maggiore aumenta, come media, di un metro e mezzo sulla magra invernale, eccezionalmente di diversi metri. Nell’ottobre 1868 si ebbe la piena maggiore degli ultimi cento anni e si registrarono ben 7 m. sopra il livello di magra.

    Il lago di Lugano o Ceresio è il più tortuoso dei laghi lombardi. Si snoda tutto nell’àmbito delle Prealpi per una lunghezza complessiva di 35 chilometri. La sua conca può essere distinta in due parti dalle morene di Melide, che ne rompono la continuità e, quasi affiorando, hanno permesso, in prossimità dell’exclave di Campione, la costruzione di un ponte tra le opposte sponde, sul quale transitano la ferrovia e la strada del Gottardo. La parte tra Porlezza e Melide, per metà italiana e per metà svizzera, si sviluppa da nord-nordest a sud-sudovest tra sponde piuttosto ripide e distanti tra loro poco più poco meno di un migliaio di metri, ad esclusione del tratto, senza dubbio il più pittoresco del lago, in cui s’apre l’insenatura di Lugano, ampia 3 km. e a morfologia blanda ma frazionata. La parte oltre Melide volge a uncino, irradiando successivamente lungo il margine meridionale le piccole ramificazioni di Capolago (in territorio svizzero), Porto Ceresio (in territorio italiano) e Ponte Tresa (località di frontiera tra Italia e Svizzera) da cui diparte l’emissario Tresa che, in prossimità di Luino, sbocca nel lago Maggiore. Lo specchio del Ceresio, a livello medio di 271 m. sul mare, misura esattamente 48,90 kmq. di superficie, dei quali 18,04 appartengono all’Italia e 30,86 alla Svizzera. Anche delle sponde (km. 93) la parte maggiore fa parte della Svizzera (km. 58,60), la minore dell’Italia (km. 34,40). A differenza degli altri laghi il Ceresio non ha immissari provenienti da zone notevolmente innevate e glacializzate delle Alpi; il suo bacino è molto limitato e costituito da modesti torrenti; ciononostante le piene, normalmente primaverili e autunnali, con massimi in quest’ultima stagione, sono notevoli e talvolta anche improvvise perchè la regione imbrifera è caratterizzata da piogge abbondanti e spesso violente.

    Il lago di Lugano da monte Brè verso sud, con il ponte di Melide e i rami di Capolago (a sinistra) e di Porto Ceresio (a destra).

    Il lago di Lugano a Porto Ceresio.

    La parte centrale del lago di Como. In primo piano l’isola Comacina (con la chiesetta di San Giovanni); essa, nel iq17, venne lasciata in eredità ad Alberto 1, re dei Belgi, che ne fece dono al Governo italiano, il quale la destinò all’Accademia di Belle Arti di Milano per farne residenza di artisti. Nella parte mediana dell’illustrazione, gli abitati d’isola, di Campo e di Lenno, questi ultimi al piede del dosso dell’Avedo o di Balbianello, che forma un pittoresco promontorio sulla cui estremità s’intravede Villa Arconati, in cui fu ospite Silvio Pellico alla vigilia del suo arresto. Sullo sfondo la punta di Bellagio, che con la sua prominenza segna l’inizio dei due rami meridionali del Lario.

    L’alto Lario da San Vito (Cremia) verso Piona, di cui è visibile il promontorio.

    Il lago di Como o Lario si stende dalle Alpi Retiche sino al margine della collina attraversando, con la parte meridionale, tutta la fascia delle Prealpi, dove presenta una grandiosa biforcazione, quant’altre mai interessante sotto diversi aspetti e soprattutto rispetto alla sua incerta genesi. Nel complesso il suo specchio in planimetria presenta un disegno che suol essere paragonato, per la forma, a una Y rovesciata. La bozza di Bellagio, protesa come una minuscola penisola nel centro lago, segna il distacco dei due rami che, divergendo, si distanziano progressivamente l’uno dall’altro, sicché i due apici, sulle cui sponde sorgono Como e Lecco, distano tra loro 24 km. in linea d’aria. Localmente per indicare le diverse parti si usano diverse denominazioni: il ramo settentrionale si designa come ramo o lago di Còlico, oppure anche come «alto lago»; il ramo presso la cui estremità si trova Lecco come ramo o lago di Lecco; il ramo al cui apice si trova Como come ramo o lago di Como p. d.; infine, la parte mediana di divergenza dei diversi rami come « centro lago ». Di tutte le parti, più spettacolare è quella del « centro lago » nella quale si specchiano le famose località turistiche di Bellagio, Cadenabbia, Tremezzo, Menaggio, Varenna e altre minori. Il lago di Còlico, benché si incunei nella zona alpina, è dei tre rami il più aperto e ridente poiché i versanti che lo recingono (scolpiti nei micascisti) sono di forme per lo più assai morbide; al suo apice settentrionale sfociano l’Adda, alle cui alluvioni si deve la formazione del vasto Pian di Spagna, e la Mera, la quale prima di confluire nel Lario decanta le sue acque nel piccolo lago di Mezzola, l’incantevole specchio che rappresenta un residuo dell’antico apice settentrionale del Lario, reciso dal corpo maggiore per il formarsi del Pian di Spagna. Il lago di Como propriamente detto si snoda a budello tra alti e ripidi versanti che si riflettono nelle acque conferendo ad esse cupi riflessi da fiordo. Il lago di Lecco è delle diverse parti la più severa per l’affiorare lungo le sponde delle formazioni dolomitiche che denunciano sin dalla base, con gli scoscesi versanti rotti da nudi strapiombi e da gole profonde, le asprezze delle incombenti Grigne. All’apice meridionale il lago si restringe per ritornar fiume a ciò costretto dalle conoidi del Gerenzone, del Caldone e del Bione (su cui sorge Lecco) ; ma immediatamente a valle, uno di seguito all’altro e tra loro ugualmente separati da conoidi, si espandono gli specchi dei laghi di Garlate e di Olginate, i quali, avanti che i grandi ventagli alluvionali ne determinassero le separazione, costituivano certo parte integrante del lago di Lecco.

    II ramo comasco del Lario. Sullo sfondo, lo sbocco della valle Intelvi.

    Il lago di Olginate. Sullo sfondo, la cresta seghettata del Resegone.

    Lo specchio attuale dall’apice settentrionale (Gera) a Como, ossia sull’asse di maggior sviluppo, misura in linea d’aria 46 km. che diventano una cinquantina seguendo la linea mediana del bacino. La larghezza massima è di 4300 m. nel centro lago, la minima è di 650 m. tra Carenno e Torriggia nel ramo comasco. La superfìcie, al livello medio di 199 m. sul mare, è di 146 kmq., sicché il Lario si pone per ampiezza al terzo posto tra i laghi italiani, dopo il Benaco e il Verbano.

    La conca a navicello del vasto e complesso bacino è distinta sul fondo da modeste soglie, alcune, come quella di Dervio, di Mandello e di Abbadia, certamente alluvionali, altre forse moreniche o rocciose. La parte più profonda è quella del ramo di Como dove, di fronte ad Argegno, si raggiungono i 410 m., dei quali 211 sotto il livello marino.

    Il bacino imbrifero del Lario è meno esteso di quello del Verbano, ma comunque assai ricco di acque; oltre all’Adda e alla Mera, che sono di gran lunga i maggiori, sfociano nel lago una trentina di corsi minori (tra cui il Liro, l’Albano, il Sanagra e il Telo d’Intelvi sulla sponda occidentale, il Varrone e il Pioverna su quella orientale); il loro contributo di acque nelle stagioni di maggiori precipitazioni, la primavera e l’autunno, diventa notevole. Allora il livello del lago cresce di alcuni metri, talvolta assai rapidamente, e non di rado le acque invadono la parte più bassa della città di Como. A tal proposito sul portale del fianco sinistro del Duomo, tra i motivi ornamentali scolpiti nel marmo, vi è una rana (e il Portale è detto appunto della Rana) che indica l’altezza dove sarebbe giunto il livello della massima piena.

    Vedi Anche:  Vicende storiche Lombardia

    Il lago d’Iseo o Sebino si stende da nordest a sudovest a guisa di una tozza S, nell’ambito della zona prealpina; solo l’estremità meridionale s’incunea tra le colline dell’anfiteatro morenico. L’Oglio vi sfocia all’apice settentrionale ed esce da quello meridionale; tra i due estremi intercorrono 21 km. in linea d’aria e 25 seguendo la linea mediana. In larghezza lo specchio oscilla in media sui 2 chilometri e mezzo con un massimo di 4 e mezzo nella parte mediana. Per estensione è il quarto dei laghi prealpini (e il sesto dei laghi italiani), misurando, al livello medio di 186 m. sul mare, 65,3 kmq. di superficie. La sua conca a navicello nella parte mediana si sdoppia e tra le due parti emerge il pittoresco dosso di Montìsola; la conca occidentale, più profonda, scende a 251 m., dei quali 65 sotto il livello marino. A nord e a sud della Montìsola, il cui nome indica la sua caratteristica di isola montuosa, la più vasta e la più alta dei laghi italiani (4,3 kmq. di superficie; 600 m. di altezza), emergono le due isolette di Loreto e di San Paolo. E la zona più bella del Sebino e da essa si domina gran parte dello specchio lacustre e delle cortine montuose che lo recingono, quella occidentale o bergamasca ripida e rotta da pittoreschi strapiombi e quella orientale bresciana per lo più a morbiti profili. Il bacino imbrifero del lago, costituito essenzialmente dall’Oglio, non è molto esteso e comunque non è tale da determinare preoccupanti oscillazioni del livello; le piene, primaverili e autunnali, sono normalmente moderate.

    Il lago d’Iseo con il Montìsola.

    Il lago di Garda, con l’isoletta omonima, in prossimità del golfo di Salò.

    Il lago di Garda o Benaco è il più vasto dei laghi italiani. La sua superficie, al livello medio di 65 m. sul mare, misura 370 kmq. (158 più del lago Maggiore e 224 più del lago di Como); essa si distende da nordest a sudovest in forma allungata (km. 51,6) espandendosi a sud a guisa di clava e qui raggiungendo l’ampiezza massima di 17 chilometri. Di fronte a Castelletto la vasta conca raggiunge la profondità di 346 m. che costituisce la maggiore criptodepressione d’Italia (281 metri sotto il livello marino). Il bacino imbrifero del lago è relativamente modesto; il maggior immissario è il Sarca che raccoglie le acque dell’arco montuoso compreso tra i gruppi deirAdamello-Presanella e del Brenta. Le piene primaverili e autunnali sono quindi di modesta rilevanza e oscillano attorno al metro.

    La sponda lombarda del Garda si estende tra Reamòl (a nord di Limone) e Santa Maria di Lugana (a oriente della penisoletta di Sirmione). La parte settentrionale, ossia a nord di Gardone, è accompagnata da versanti per lo più ripidi che diventano spesso addirittura strapiombanti. La parte meridionale, orlata di morbide colline, disegna tre golfi in successione: quello penetrante di Salò, quello ampio di Desenzano, protetto dalla splendida penisoletta di Sirmione, e quello intermedio ai due, al cui ingresso emergono l’isoletta di Garda e diversi scogli pittoreschi.

    Il piccolo lago d’Idro o Eridio, ricordato tra i laghi minori delle Prealpi, si stende nel solco della vallata del Chiese. Il suo specchio, al livello medio di 368 m. sul mare, si estende per 10,9 kmq.; si allunga lungo il solco vallivo da nordest a sudovest per circa io km. con un massimo di larghezza di quasi 2 chilometri. Relativamente alla sua ampiezza è discretamente profondo, giungendo, davanti alla Rocca d’Anfo, a 122 metri. Racchiuso tra erte montagne, il piccolo lago presenta pittoresche prospettive, che, in    alcuni punti,    abbracciano a sfondo le Giudicarie.

    Il lago d’Idro (val Sabbia).

    Il lago d’Èndine (vai Cavallina)

    Nella val Cavallina, a 337 m. sul mare, v’è un altro piccolo lago prealpino, il lago d’Endine o di Spinone, di 2,1 kmq. di superficie. La sua conca si allunga per circa 6 km. nel solco vallivo e raggiunge una profondità di una decina di metri; per le modeste dimensioni durante l’inverno si copre talvolta di uno strato di ghiaccio.

    Oltre ai laghi prealpini vi è nella Lombardia occidentale un altro gruppo di laghi, sempre di origine glaciale, ma più propriamente determinati dai depositi morenici abbandonati dalle fronti delle grandi colate glaciali dell’inizio del Quaternario. Essi sono in genere di modesta estensione e di scarsa profondità; quattro, ossia i laghi di Varese, di Comabbio (detto anche di Varano), di Monate e di Biandronno, giacciono incastonati tra le cerehie dell’anfiteatro ticinese e altri quattro, ossia i laghi di Annone, di Pusiano (il « vago Eupili » del Parini), d’Alserio e di Montorfano racchiusi tra le colline dell’anfiteatro abduano. La loro presenza conferisce alla regione collinare del Varesotto e della Brianza una nota di suggestiva grazia tanto più attraente per la vicinanza dei gruppi montuosi delle Prealpi e delle Alpi che formano un’incomparabile cornice.

    Il lago di Varese è il maggiore per ampiezza tra i laghi pedemontani (kmq. 15); il suo specchio giace a 238 m. sul mare, in una vasta conca verso cui digradano dolcemente, da nord, le pendici prealpine del Campo dei Fiori e, da sud, i poggi morenici sparsi di villaggi e di ville. Nel lago riversano le loro acque numerosi ruscelli, che discendono dalle alture circostanti, e, attraverso il canale Brabbia, il lago di Comabbio; a sua volta il lago di Varese invia le sue acque, attraverso il torrente Bardello, nel lago Maggiore. Presso la sponda occidentale emerge dall’acqua la minuscola isola di Isolino, famosa per la stazione palafitticola (scoperta verso la metà del secolo scorso) che ha dato interessanti reperti tra l’Eneolitico e l’età del bronzo. A ovest del lago di Varese, e separato da questo da un sottile lembo di terra, vi è il piccolo lago di Biandronno (kmq. 0,470) ridotto ormai a palude; a maggior distanza verso sudovest vi sono i due laghi di Monate (kmq. 2,8), dove pure furono rinvenute palafitte dell’età del bronzo, e di Comabbio (kmq. 3,8), le cui acque limpidissime sono utilmente sfruttate per la piscicoltura.

    Il lago di Pusiano nell’anfiteatro morenico abduano.

    Il lago Bianco (2609 m.) al Gavia, con l’imponente sfondo del San Matteo.

    I laghi briantei sono allineati tutti, uno affiancato all’altro, al margine pedemontano del triangolo prealpino compreso tra i due rami meridionali del Lario. Il maggiore tra essi per estensione è il lago di Annone, detto anche di Oggiono o, più esattamente, di Ogionno (kmq. 5,7). Il suo specchio, a 226 m. sul mare, protetto a nord dal monte Rai e a ovest dalla dorsale del monte Barro, è recinto a sud da un bordo di calcari e di arenarie coperte da morene; la penisoletta di Isella lo divide quasi completamente in due bacini dei quali l’occidentale è detto propriamente di Annone e l’orientale di Ogionno. E alimentato da modestissimi ruscelli e da polle profonde; le sue acque si scaricano, attraverso il Rio Torto che percorre la Valmadrera, nel lago di Lecco.

    Separato da un ripiano torboso dal lago di Annone, e a ovest di questo, vi è l’amenissimo lago di Pusiano o Eupili, di ampiezza poco inferiore al precedente (kmq. 5,3). La sua conca raggiunge la maggiore profondità dei laghi briantei (24 m). e riceve buon contributo di acque dal Lambro (in questo tratto detto Lambrone), che è pure emissario. A occidente del lago di Pusiano, e da questo separato in epoca piuttosto recente (forse nel secolo XV) dalle alluvioni del Lambrone, vi è il piccolo e solitario lago di Alserio (kmq. 1,7). Infine, a mezza strada tra questo e l’abitato di Como, vi è il minuscolo lago di Montòrfano (kmq. 0,4), ai piedi del colle omonimo che, come dice il nome, sorge isolato.

    A necessario completamento della rassegna dei maggiori laghi lombardi sono da ricordare da ultimo anche i laghetti di montagna che, rari nelle Prealpi, sono invece frequenti nelle Alpi e conferiscono al paesaggio, per solito aspro, una nota di grazia. Se ne incontrano lungo gli itinerari montani in gran numero (certamente, per la sola Lombardia non inferiore al migliaio) e nella maggior parte tra i 1800 e i 2400 metri. Ve ne sono alcuni di richiamo per la loro bellezza, come il lago Palù (1921 m.) e il lago Pirola (2283 m.) nel gruppo del Bernina, i laghi Gemelli (1737 e 1841 m.) e il lago Rotondo (1972 m.) sul versante brembano delle Orobie, il lago d’Arno (1816 m.) e il lago Baitone (2281 m.) nel gruppo dell’Adamello, il lago Nero (2386 m.) e il lago Bianco (2609 m.) al passo di Gavia, con il sovrastante lago Verde (2841 m.), ecc., ma nessuno eguaglia il fascino dei laghi delle Alpi dolomitiche. Per lo più i laghetti della montagna lombarda sono stati utilizzati come serbatoi per l’industria idroelettrica e i loro bacini modificati con la costruzione di sbarramenti per aumentarne la capienza; hanno quindi perso in bellezza per acquistare in utilità.

    I fiumi

    Il Po, che in due brevi tratti, nel Pavese e nel Mantovano, attraversa il territorio lombardo e per un tratto maggiore lo lambisce lungo il confine meridionale, accoglie le acque scolanti da tutta la regione per avviarle, attraverso il suo corso, al mare Adriatico. Alla sua sponda sinistra giungono — in successione da occidente ad oriente — l’Agogna, il Ticino, l’Olona, il Lambro, l’Adda (in cui confluiscono il Brembo e il Serio), l’Oglio (in cui confluiscono la Mella e il Chiese), il Mincio e altri corsi minori; alla sua sponda destra giungono la Stàffora e altri torrenti più modesti.

    Ad alimentare questi corsi fluviali contribuiscono, com’è naturale, le precipitazioni che sul suolo lombardo cadono discretamente copiose, ma in misura diversa a seconda delle stagioni e dei luoghi: nella zona propriamente alpina più abbondanti d’estate che nelle altre stagioni, nella zona delle Prealpi, della collina e della pianura, invece, più abbondanti di primavera e d’autunno che nell’estate e nell’inverno.

    l regime di tutti i fiumi lombardi, o anche le diverse parti di uno stesso fiume, mostrano di risentire direttamente di tale situazione pluviometrica, ossia il volume delle loro acque cresce sensibilmente nei periodi di piogge più copiose. Ma sul regime dei fiumi influisce sensibilmente anche il fatto che una parte delle precipitazioni invernali, stagione di per sè non abbondante di piogge in nessuna parte della Lombardia, cade sotto forma di neve, che discioglie nella primavera e, alle maggiori altitudini, nell’estate, insieme ai ghiacciai. Sicché la stagione invernale segna il periodo di maggior povertà di acque fluviali.

    Le accennate condizioni sono da tenere ben presenti per una rapida intuizione delle caratteristiche di regime dei fiumi lombardi, non trascurando altresì che per il tratto inferiore di alcuni di essi agiscono da regolatori i bacini lacustri; pertanto è opportuno conoscere l’area dalla quale ha origine e dove si alimenta ciascun fiume. Alcuni, il Ticino, l’Adda e l’Oglio, nascono nel cuore delle Alpi e si riversano in uno dei grandi laghi prealpini prima di giungere alla pianura. Ad essi può essere aggregato il Mincio, che discende dal lago di Garda, il cui principale immissario, il Sarca, espande il suo ventaglio sorgentizio tra l’Adamello e il Brenta. Altri fiumi lombardi, quali l’Agogna, l’Olona, il Lambro, il Brembo, il Serio, il Chiese, il Cherio e la Mella, nascono nelle Prealpi o tutt’al più al margine delle Alpi. Ad essi può essere aggregata la Stàffora, il maggiore dei corsi d’acqua dell’Oltrepò pavese, che discende dal cuore dell’Appennino. Vi sono infine altri minori fiumi di Lombardia, come il Terdoppio, l’Arno, la Lura, il Sèveso, la Mòlgora, che nascono tra le colline. Orbene, il Ticino, l’Adda e l’Oglio, nel loro percorso propriamente alpino, hanno un periodo di piena da maggio a luglio a causa dello scioglimento delle nevi montane; poi la loro portata decresce lentamente pur mantenendosi ricchi di acque a causa delle piogge estive sulle Alpi e del contributo dei ghiacciai ; con il progredire dell’autunno s’impoveriscono e passano l’inverno in magra (regime alpino). E tuttavia da sottolineare il fatto che l’intensa utilizzazione delle acque di tali fiumi a scopo idroelettrico ha alterato talvolta profondamente le caratteristiche idrologiche naturali. I fiumi che hanno origine nelle Prealpi e così pure la Stàffora, di origine appenninica, manifestano due periodi di piena in primavera e in autunno; il primo è per solito superiore al secondo a causa della coincidenza delle precipitazioni con lo scioglimento delle nevi. Nell’estate e nell’inverno sopravvengono magre, la seconda delle quali è più marcata (regime prealpino). Anche i fiumi provenienti dalle colline presentano gli stessi periodi di piena e di magra, ma, poiché ad essi manca il contributo delle acque di scioglimento delle nevi, la piena primaverile è per lo più minore di quella autunnale (regime subalpino). Vi è da aggiungere che i maggiori fiumi lombardi nel loro percorso in pianura, per l’azione regolatrice dei laghi, non conservano le caratteristiche di regime del loro percorso montano, ma partecipano del regime pluviale della zona che attraversano e del regime fluviale degli affluenti prealpini; perciò essi denunciano i massimi di portata a primavera inoltrata (maggio-giugno) e in autunno.

    L’Agogna attraverso la campagna della Lomellina.

    Il Ticino a Sesto Calende (a destra la sponda piemontese).

    II Ticino al Ponte coperto di Pavia.

    In conclusione, l’unica caratteristica comune al regime di tutti i fiumi lombardi è la magra invernale; per i fiumi alpini a questa fa riscontro una piena estiva; per i fiumi prealpini, per i fiumi che hanno origine dalle colline e anche per i grandi fiumi nel loro percorso di pianura si alternano due piene in primavera e in autunno.

    Dei fiumi lombardi l’Adda vanta il primato per ampiezza del bacino idrografico, precedendo in graduatoria il Ticino e l’Oglio. L’Adda supera anche gli altri fiumi per lunghezza di corso, precedendo l’Oglio e il Ticino. Quest’ultimo tiene invece il primato di portata media. Ma su questi vari aspetti di ciascuno è necessaria qualche maggiore precisazione.

    L’Agogna nasce dal Mottarone che si eleva in territorio piemontese tra il lago d’Orta e il lago Maggiore. Il suo bacino misura 1560 kmq. e solo una piccola porzione di esso fa parte della Lombardia. In questa infatti si snoda solo il tronco inferiore del suo corso tra Confienza e il Po nel quale si getta alla Cascina Giarda, presso Mezzana Bigli. In questo tratto il fiume è arricchito da acque di fontanili. Le sue piene primaverili e autunnali sono rovinose e durante la loro fase massima si sono misurate portate di oltre 300 metri cubi al secondo.

    Il Terdoppio nasce presso Agrate Conturbia nella collina novarese. Lungo il suo corso riceve acque da numerosi colatori e ne dona a numerose altre rogge. Entra in territorio lomellino presso le Cascine Barbarava di Gravellona e giunge al Po, potentemente arginato, a est di Mezzana Rabattone. Il suo regime manifesta un carattere torrentizio: ha magre estive prolungate e piene considerevoli primaverili e autunnali durante le quali si registrano portate di un centinaio di metri cubi al secondo.

    Il Ticino ha un’ampiezza di bacino di complessivi 7228 kmq. dei quali ben 6466 in zona montuosa. Il fiume discende dal passo di Novena (2440 m.) e sbocca nel Po presso il ponte della Becca (56 m. sul mare) dopo un percorso di 248 km. dei quali circa 90 come immissario del lago Maggiore (in territorio quindi politicamente svizzero). Nel percorso montano (costituito dalle valli Bedretto, Leventina e della Riviera) riceve le acque del Blenio, che discende lungo la valle omonima, e del Moesa, che percorre la vai Mesolcina, quindi, arginato, attraversa la pianura di Magadino, formata dalle sue stesse alluvioni, per sfociare nel lago Maggiore. Presso la località detta la Cicognola, all’apice meridionale dello stesso, il Ticino esce maestoso facendo registrare alla vicina stazione idrometrica di Golasecca (Sesto Calende) una portata media di 312 metri cubi al secondo. Il regime manifesta una piena maggiore, con portata media massima di 2135 metri cubi al secondo (ma eccezionalmente anche del doppio), durante il mese di giugno, e una piena minore in novembre; la magra registra i valori minimi nel mese di febbraio con media di 35 metri cubi al secondo. Per attenuare nel limite del possibile tanta variabilità di portata, e soprattutto aumentare il flusso di acque nei periodi di magra allo scopo di una migliore utilizzazione a uso idroelettrico, poco a monte di Golasecca fu portato a termine nel 1942 lo sbarramento di Miorina, il quale fa da regolatore dell’invaso del Verbano e quindi da regolatore anche del Ticino.

    Da qui il fiume prende a scendere attraverso la pianura con una pendenza media deH’i,5‰, lievemente superiore nel tratto che attraversa l’alta pianura e di poco inferiore nel tratto della bassa. Le acque lungo il filone e in superficie’ scorrono con velocità variabile da 1 a 3,5 m/sec. e la profondità del letto, sempre lungo il filone e a livello medio, va da mezzo metro sino asm. nei tratti più profondi. In tutto il suo percorso il fiume disegna ampi meandri e il suo letto, là dove divaga in diversi rami, si allarga anche più di un chilometro. Nell’alta pianura, ossia sin press’a poco a Tornavento, il solco s’incassa di una cinquantina di metri rispetto al livello della campagna ed è accompagnato lateralmente da ampi terrazzi scavati in alluvioni antiche o recenti e tra loro distinti da scarpate ben disegnate. Le bocche di presa dei canali derivati per la navigazione o per l’irrigazione del Milanese si trovano nella parte superiore del fiume e, per superarne le scarpate, ne accompagnano per lungo tratto il corso: presso Ca’ Maddalena (Somma Lombarda) vi è la presa del canale Villoresi, l’ultimo ad essere costruito dei grandi canali lombardi; presso Tornavento (Lonate Pozzolo) vi è la presa del Naviglio Grande, che è invece cronologicamente il primo. Ma se dal Medioevo sino al secolo scorso la utilizzazione delle acque del Ticino è stata in funzione unicamente dell’irrigazione e della navigazione, nel nostro secolo ha avuto sviluppo lo sfruttamento a scopo idroelettrico. Con la costruzione della diga di Pamperduto si dà l’avvio alle grandi centrali di Vizzola, di Tornavento, di Turbigo (superiore e inferiore) e, recentemente, di Porto della Torre (Somma Lombardo) il cui sbarramento serve ad alimentare anche il canale Elena (1954).

    Vedi Anche:  Origine nome e territorio della Lombardia

    Il Lambro a Canònica in Brianza.

    L’Olona è un fiume assai modesto dal punto di vista fisico, ma di notevole interesse per le vicende collegate allo sviluppo del suo corso e di grande importanza nel quadro dell’economia lombarda. Le sue sorgenti si trovano nel parco di Villa Cagnola a La Rasa (548 m.) in Valganna (Prealpi varesine). Attraversa con direzione da nord-nordovest a sud-sudest la zona collinare e lungh’essa il suo solco s’incide profondamente tra morene e alluvioni terrazzate; raggiunta la pianura e la zona dei fontanili il fiume scorre a livello del piano e, piegando a sudest, si dirige verso Milano, dove si scarica nella darsena di Porta Ticinese. Complessivamente il fiume misura in lunghezza 71 km., con una pendenza media del 6%o. Il suo regime è tipicamente subalpino; la portata media, a Vedano, è di circa 3 metri cubi e mezzo al secondo; ma durante le piene, per lo più improvvise e di breve durata, può raggiungere i 60 metri cubi al secondo, causando dannosi straripamenti nel tratto di pianura e, nonostante i lavori di sistemazione, anche alla periferia di Milano; durante l’inverno la portata si riduce a poco più di un metro cubo al secondo. A causa delle notevoli utenze, tra il 25 marzo e il 12 settembre, vengono immessi nel suo letto, se necessario, da 500 a 1000 1/sec. traendoli dal canale Villoresi che incrocia l’Olona tra Parabiago e Nerviano.

    Il profondo solco del medio corso dell’Adda a monte di Paderno con la centrale elettrica e le chiuse.

    Se quello descritto è il corso attuale dell’Olona, occorre però rilevare che così è, a causa della deviazione apportata al fiume tra Lucernate (Rho) e Milano. L’opera di deviazione fu eseguita in epoca molto remota non bene individuata (forse tra il II e il III secolo d. C.) per rifornire di acque i canali della città di Milano e per irrigare le sue campagne. Difficile è ricostruire il precedente percorso del fiume, le cui tracce sono del tutto cancellate, ma è credibile che, sull’allineamento del percorso a monte di Lucernate, il fiume discendesse nella pianura lungo la direttrice segnata dalle odierne località di Cascina Olona, Còrsico oppure anche Trezzano; tanto la roggia Carona, come la roggia Vecchia o la roggia Colombana potrebbero rappresentare l’alveo originario dell’Olona. Certo è che in prossimità di Binasco si trova un corso d’acqua, ridotto per scopo irrigatorio alla funzione di colatore, che conserva il nome di Olona e che quasi certamente è la prosecuzione dell’antico corso; esso, intermedio tra Ticino e Lambro e parallelo ad essi, discende sino al Po nel quale sbocca presso San Zenone.

    Quello dell’Olona non è del resto un caso unico. Infatti nella rete di canali che si annoda in Milano sono state convogliate probabilmente, ma con opera molto più semplice, le acque del Sèveso, piccolo fiume che s’origina nell’anfiteatro morenico abduano in prossimità di Como e attraversa la zona collinare e l’alta pianura in un solco terrazzato. V’è chi ritiene che il Sèveso, in antichi tempi, attraversasse Milano lungo l’alveo che ora si chiama Vettabbia, raggiungendo poi il Lambro a Melegnano; ma ciò è difficile da accertare.

    Anche la Mòlgora, piccolo torrente che nasce nell’anfiteatro abduano e che attualmente si riversa nella Muzza, confluiva un tempo nell’Adda attraverso il solco che s’incide nella pianura a nord di Comazzo.

    Il Lambro è un fiume direttamente confluente nel Po, di discreto sviluppo (km. 124) ma di modesta portata; ha origine alla fonte intermittente del Menaresta, al centro del triangolo compreso tra le diramazioni meridionali del Lario; discende per la Valassina, da cui esce attraverso la stretta di Casiino d’Erba dove la portata media è poco meno di 2 metri cubi al secondo; sbocca con il nome di Lambrone nel laghetto morenico di Pusiano; ne esce aprendosi la via tra i depositi morenici e, incassato tra i terrazzi alluvionali, si dirige verso sud in direzione di Monza. Nella zona dei fontanili, scomparsi i terrazzi laterali, il fiume scorre a livello della pianura, sfiorando Milano sul lato orientale; quindi al richiamo della pendenza si dirige, con corso tortuoso, verso sudest. A Melegnano, dove s’inserisce nuovamente tra scarpate terrazzate, il Lambro riceve le acque dell’Addetta scaricatore della Muzza, e della Vettabbia, proveniente da Milano; a Sant’Angelo Lodigiano accoglie le acque del Lambro meridionale. Aggirato sul lato orientale il colle di San Colombano, il fiume si getta nel Po presso Corte Sant’Andrea.

    L’Adda è tra i più importanti affluenti di sinistra del Po e certamente il più importante tra quelli che espandono il loro bacino totalmente in territorio lombardo. Il fiume nasce a 2237 m. sotto il passo di vai Alpisella (2285 m.); dalla sua origine alla confluenza nel Po si snoda per 313 km., dei quali circa 115 come immissario del Lario. L’ampiezza del bacino abduano è di 7989 kmq. (5286 dei quali in zona di montagna), superiore quindi a quella di ogni altro fiume lombardo, Ticino compreso. Dai minuscoli laghetti dai quali prende l’avvio, l’Adda scende povera d’acque lungo la valle di Fraele (da alcuni anni sbarrata da dighe che formano i laghi di Fraele e Cancano) e raggiunge la conca di Bormio dove riceve il contributo, scarso oggi per l’utilizzazione delle acque da parte degli impianti idroelettrici, del Bràulio (valle del Bràulio), del Viola (vai Viola) e del Frodolfo (Valfurva). Si incanala poi nel solco della Valtellina e discende rapida e spumeggiante sino a Tirano, poi si placa e si snoda, non senza qualche meandro, sul fondo piatto della valle. Riceve sulla destra il contributo del torrente Roasco (vai Grosina), del Màl-lero (vai Malenco) e del Màsino (vai Màsino), che discendono dal versante retico. Non minore è il contributo dei numerosi torrenti (Belviso, Caronella, Malgina, Armisa, Venina, Livrio, Tàrtano, Bitto) che discendono dalla Orobie, ma esso è soprattutto primaverile e autunnale allorché detti torrenti hanno piene talvolta anche violente e rovinose. L’Acida però non ingrossa progressivamente con il suo procedere verso il Lario, come si sarebbe indotti a credere, ma si immiserisce notevolmente là dove gli impianti idroelettrici, che sono numerosi, ne sottraggono e imbrigliano le acque; si arricchisce d’improvviso dove le centrali liberano l’acqua utilizzata. Nella sezione inferiore l’Adda procede tuttavia discretamente ricca di acque, tra argini rettilinei, attraverso il bonificato Pian di Spagna, un tempo sede di acquitrini e infestato dalla malaria, e sbocca infine nel Lario poco a settentrione di Còlico. Qui essa denuncia una portata media di circa 70 metri cubi al secondo con massimi in giugno di circa 750 metri cubi al secondo e minimi in febbraio di circa 20 metri cubi al secondo. Ma il Lario, come s’è accennato, si arricchisce anche delle acque di altri notevoli bacini alpini e prealpini. La Mera è l’immissario più notevole, dopo l’Adda; proviene dal Passo Maloia e riceve, in prossimità dell’abitato di Chiavenna, le acque del Liro che discende dal passo dello Spluga.

    L’Adda a Lodi.

    L’Adda esce dal Lario all’apice meridionale del ramo di Lecco; da qui al Po, il fiume discende con pendenza media deH’1,1‰ e una velocità media in superficie da 0,3 a 4,7 m. al secondo. Il suo letto ha larghezza varia da un minimo di 80 a un massimo di 800 metri. Al ponte che sovrasta l’inizio dell’emissario la portata media è calcolata in 160 metri cubi al secondo. Durante i periodi di piena, che normalmente, come per il Ticino, cadono in giugno, il massimo di portata può superare i 900 metri cubi al secondo, mentre nei periodi di magra, che coincidono con il gennaio, il volume di acqua si contrae sino a 30 metri cubi al secondo.

    Il Brembo a San Pellegrino Terme.

    Dopo il ponte di Lecco l’Adda forma i laghetti di Garlate (kmq. 4,64) e di Olgi-nate (kmq. 0,77), separati dal Lario (del quale un tempo costituivano l’apice più meridionale) dalle alluvioni via via accumulate dai precipiti torrenti che discendono dalle circostanti alture: dal Gerenzone, dal Caldone e dal Bione, che hanno formato il delta su cui si espande la città di Lecco, dal Galavesa e dall’Àspide, che hanno formato i delta opposti di Vercurago-Calòlzio e di Olginate. Dopo i laghetti, il fiume divaga pigro per breve tratto, poi va rapidamente incassandosi nel ceppo, che forma sponde ripide e alte anche una cinquantina di metri. Sul fondo di tale specie di canon spumeggia l’acqua rotta da scogli; a Paderno, dove la rapida è più impetuosa, un canale, risalente al secolo XVIII, della lunghezza di circa due chilometri e diviso in 6 conche che permettono ai natanti di superare un dislivello di 29 m., si snoda a lato del fiume. Altre opere per alimentare le centrali elettriche di Paderno e di Robbiate furono costruite a partire dal 1898, data d’inizio dell’industria idro-elettrica in Italia. A Trezzo vi è la chiusa per la presa della Martesana e a Cassano la presa della Muzza.

    Poco a monte di Vaprio e di Canònica, l’Adda riceve sulla destra le acque del primo dei due maggiori affluenti oròbici, il Brembo, che, dalle sorgenti alla confluenza, misura 72 km. di sviluppo. Il suo ampio bacino si estende ad abbracciare il versante meridionale delle Orobie occidentali tra il pizzo del Diavolo di Tenda e il pizzo dei Tre Signori, dalle cui pendici meridionali discendono i molti rami dell’ampio ventaglio sorgentizio, convergenti in un unico solco che prende il nome del fiume a Lenna, in vista di San Martino dei Calvi. Scendendo lungo la valle in direzione della pianura il Brembo si arricchisce delle acque dei torrenti Enna (vai Taleggio), Brembilla (vai Brembilla) e Imagna (vall’Imagna) sulla destra, Parina (vai Parina) e Serina (vai Serina) sulla sinistra. Sbocca nella pianura tra Almè e Alenno e, incassato tra alte ripe scavate nel ceppo, si dirige senza tortuosità all’Adda.

    A valle di Cassano, l’Adda si sbizzarrisce in un letto molto ampio nel quale le acque corrono veloci e capricciose dividendosi in numerosi rami per interposti isolotti ghiaiosi talvolta ammantellati di boscaglia. A valle di Lodi le acque rallentano la loro corsa e si raccolgono in un letto ben disegnato ma tortuosissimo per una serie di ampi meandri che si succedono ininterrottamente l’uno all’altro. Dalla Gran Carta Corografica Statistica del Regno lombardo-veneto di A. Maridati del 1859 risulta che diverse delle anse, oggi abbandonate, un secolo fa erano ancora vive, mentre altre sin da allora erano morte.

    A Bocca di Serio nell’Adda confluisce il Serio, di 124 km. di sviluppo. Il suo alto bacino raccoglie le acque del versante meridionale delle Orobie orientali tra il pizzo del Diavolo di Tenda e il monte Gleno. Dalle pendici del pizzo Torena, donde ha origine, il Serio discende per la vai Bondione in direzione longitudinale alla catena orobica; quindi piega verso la pianura lungo la valle che dal fiume prende nome di Seriana; sbocca nell’alta pianura nei pressi di Alzano e ne discende con frequenti ramificazioni, incassato in un solco che attenua la sua profondità nella bassa e che tale si mantiene sino alla confluenza con l’Adcla. Questa, sempre con ampi meandri, corre verso il Po nel quale sbocca a un livello medio di 39 metri sul mare.

    Il fiume Serio.

    L’Oglio, come l’Adda, estende il suo bacino di 6641 kmq. (dei quali 3426 in zona di montagna) totalmente in territorio lombardo con uno sviluppo tra sorgente e confluenza nel Po di 281 chilometri. Il fiume ha le sue sorgenti a 2610 m. sulle pendici meridionali del corno dei Tre Signori (3359 m.) che si erge al punto di contatto di tre importanti bacini idrografici e precisamente quelli dell’Oglio, dell’Acida e del Noce (Adige); ma il ventaglio di alimentazione dell’Oglio si espande in una vasta zona ricca di acque che, a sud dell’ampio valico del Tonale, abbraccia anche un lembo dell’Adamello, le cui acque sono in gran parte captate da grandiosi impianti idroelettrici. A Ponte di Legno, che si trova alla confluenza delle alte ramificazioni del fiume, le acque dell’Oglio si avviano per il fondo della pittoresca e ampia valle che prende il nome di Camònica; in essa riceve il contributo di acque di numerosi affluenti tra i quali, particolarmente notevoli, sulla destra il Fiumicello (valle di Còrteno), scendente dal passo dell’Aprica, e il Dezzo, proveniente dalla valle di Scalve attraverso un’orrida e profonda gola; sulla sinistra l’Avio, il Paghera e il Remulo, che scendono dal massiccio dell’Adamello, e quindi il Poglia (vai Saviore) e il Grigna. A Breno (340 m.) le acque del fiume si placano e discendono lente, per la minor pendenza del fonclovalle, sino al lago d’Iseo, nel quale si riversano. Il fiume riprende il suo corso presso Sàrnico, traversa l’anfiteatro morenico via via incassandosi, raggiunge l’alta pianura tra larghe sponde terrazzate e, come il Ticino e l’Adda, dona acque e numerose derivazioni per irrigazione e per sfruttamento industriale, soprattutto idroelettrico. Presso l’abitato di Paiosco riceve sulla destra le acque del Cherio, emissario del laghetto d’Endine in vai Cavallina; s’inoltra per lungo tratto in direzione sud, poi devia verso sudest serpeggiando con meandri sempre più ampi. Poco a monte del ponte di Ostiano riceve le acque del Mella (96 km.), proveniente dalla vai Trompia, e tra Canneto e Acquanegra riceve le acque del Chiese (160 km.), fiume che si origina sul versante tridentino dell’Adamello ed entra nel territorio lombardo alla confluenza nel lago d’Idro, all’imbocco della vai Sabbia. Lungo questa il Chiese discende con andamento tortuoso a doppio gomito, avvicinandosi alla sponda occidentale del Garda; allo sbocco nella pianura cede parte delle sue acque al Naviglio bresciano; quindi corre senza deviazioni sino alla confluenza nell’Oglio, che a sua volta, dopo una ventina di chilometri, entra nel Po, le cui acque in questo punto hanno un livello medio di 16,5 m. sul mare.

    L’Oglio poco a valle di Sàrnico.

    Il Mincio presso Rivalta.

    Il Mincio inizia il suo corso, quale emissario del lago di Garda, in un lembo di territorio veneto; ma pochi chilometri a valle raggiunge il limite amministrativo tra Mantova e Verona e ad esso s’annoda sino a Pozzuolo; poi diviene fiume mantovano per eccellenza. Il fiume attraversa nella parte mediana l’ampio anfiteatro benacense chiuso tra alte ripe moreniche, e le sue acque non mancano d’impeto; ma poi nella pianura corre a livello della campagna (anzi nel tratto inferiore sospeso), la corrente si placa e a valle di Goito già le acque sono tanto pigre da impaludare. A Mantova il Mincio forma tre piccoli laghi, superiore, di mezzo e inferiore, che circondano    la città su tre lati, quindi    con lento corso va a confondere le sue acque con quelle del Po che in questo punto ha un livello medio di 12,5 m. sul mare.

    Il Lago Superiore formato dal Mincio a Mantova.

    Nel complesso il bacino Sarca-Mincio si estende per 2859 kmq., dei quali solo 815 nella collina e nella pianura; la lunghezza totale è di 194 km. dei quali 75 del solo Mincio tra il Garda e il Po. In questo tratto la pendenza media risulta di o,7‰; è maggiore nella zona collinare, quasi insensibile in quella di pianura. La portata media è di 60 metri cubi al secondo. Le piene autunnali sono superiori a quelle primaverili e si raggiungono i 150 metri cubi al secondo; in febbraio la magra registra una portata di circa 30 metri cubi al secondo.

    Vedi Anche:  insediamento urbano e rurale

    Il Mincio ha costituito in ogni secolo un problema notevole per la sistemazione delle sue acque. Si ritiene per certo che in antichi tempi il Mincio, dopo Mantova, avesse un percorso diverso dell’attuale e che, unito al Tàrtaro, corresse verso levante sfociando direttamente nel mare in prossimità di Adria; quando poi volgesse il suo corso verso il Po e in esso riversasse le sue acque, non si sa con esattezza: v’è chi ritiene che un alveo artificiale verso Governolo sia stato aperto da Quinto Curio Ostilio per ordine del Senato romano e chi, forse più giustamente, attribuisce il nuovo corso alle conseguenze delle terribili piogge che nel 589 fecero straripare molti fiumi; l’Adige, in tale circostanza, traboccò dal suo letto alla Cucca (Veronella) e le sue acque dilagando e tutto invadendo avrebbero cancellato il solco del Mincio, del Tàrtaro e delle Fosse Filistine. Nè forse alla falla si volle porre rapido riparo, poiché, imperversando in quel tempo la lotta dei Longobardi contro Ravenna, l’allagamento danneggiava le terre dell’Esarcato e favoriva gli avversari in quanto costituiva un’ampia fascia di naturale difesa. Le piene dell’Adige probabilmente continuarono per lungo tempo a ristagnare e a rendere acquitrinose e malsane terre che in precedenza erano fertili e salubri. Il Mincio, costretto a nuova via, si riversò allora spontaneamente nel Po presso Governolo, ma, a causa della modesta pendenza, avveniva che le sue acque defluissero con difficoltà e, peggio, che le piene del maggior fiume, risalendo lungo il corso dell’affluente, impaludassero le terre circostanti. I Mantovani dinanzi alla loro città videro quindi formarsi in periodi di piena uno spazioso lago, « onde — immagina uno scrittore secentesco, il Bertazzolo — tutti si auguravano di vederlo sempre in quello stato per vaghezza e fortezza della città ». E fu appunto per farne una fortezza che nel 1198 Alberto Pitentino, architetto delle Comunità, ideò il progetto che doveva dare stabilità ai laghi. Con gli sbarramenti di Mulina e di Belfiore si diè vita al lago superiore a quota di 17,49 m. sul mare; con l’argine di Governolo si formarono i laghi di mezzo e inferiore a quota 13,26 metri sul mare; con il soradore di Pradella e l’argine di Cerese si formò il lago di Paiolo, sicché la città di Mantova fu tutta cinta dalle acque. La sistemazione non potè tuttavia essere definitiva a causa del graduale innalzamento delle arginature del Po che, costringendo le piene del fiume a più alto livello, determinarono il progressivo interrimento dei laghi di mezzo e inferiore, per il deposito di materiale portato dal rigurgito delle acque. Cessata poi la finalità difensiva della città, si prospettò la utilità di eliminare gli specchi d’acqua e di essi uno, il lago di Paiolo, fu prosciugato infatti nel 1780.

    Non si può concludere questo rapido quadro della rete fluviale della Lombardia senza aggiungere ai precedenti cenni occasionali qualche precisazione relativamente al Po che in due tratti, per complessivi no km., traversa il territorio della Lombardia e per 210 km. ne segna il limite. Il Po, serpeggiando lungo il 45° parallelo, lambisce il territorio lombardo dalla confluenza della Sesia a quella dell’Agogna; ivi il confine a tratti si annoda e a tratti si scosta dal fiume seguendo le anse abbandonate dell’antico letto. Tra il ponte di Gerola e il ponte di Pieve, il Po diviene totalmente lombardo, sbizzarrendosi in numerosi ed ampi meandri, ricevendo sulla sinistra il Ticino e dal versante appenninico, sul quale si estende l’Oltrepò pavese, numerosi torrenti tra i quali la Stàffora (km. 38), che attraversa la campagna vogherese e lambisce Voghera, il Coppa, lo Scuropasso e il Versa. Dopo il ponte di Pieve, il Po torna a segnare il limite della Lombardia (salvo minuscole deviazioni) sino all’isola fluviale di San Simeone. Quindi entra di nuovo in territorio lombardo traversando il Mantovano sin presso il ponte di Ostiglia. Poi di nuovo il Po segna il confine della Lombardia sino a Quatrelle, all’estremità orientale della regione lombarda.

    Il grande fiume, già dalla confluenza del Ticino, è accompagnato da argini, poiché durante le piene il suo livello sale sino a minacciare la pianura circostante; il pericolo maggiore delle piene si fa sentire sulla sponda cremonese e mantovana.

    A conclusione di tutto quanto esposto, è opportuno aggiungere alle iniziali alcune osservazioni di carattere generale. Come già s’è accennato la conca padano-veneta si presenta nei suoi tratti essenziali come un’immensa valle di cui la Lombardia occupa il tratto medio del versante alla sinistra orografica. Questa posizione del territorio si riflette anche sullo sviluppo della sua rete idrografica; difatti la direzione dei corsi fluviali della Lombardia rispecchia il richiamo della duplice pendenza della grande valle padana: la pendenza assai marcata e generale (e quindi influente sull’intero corso dei fiumi) tra lo spartiacque alpino e il letto del Po, e la pendenza meno marcata (e influente solo sul corso inferiore) verso lo sbocco adriatico. In relazione a ciò, nel corso dei fiumi lombardi si possono distinguere due parti: quella che si incide nell’ambito della montagna e quella che si snoda nell’area di pianura; nella prima i corsi fluviali discendono verso il piano con un percorso vario condizionato almeno in parte dalle situazioni geologiche, strutturali e litologiche che hanno presieduto alla evoluzione dei solchi ; nella seconda, non più impediti di secondare del tutto il richiamo della pendenza, discendono deviando lievemente e progressivamente dalla parte della foce del Po. Per tal ragione i maggiori fiumi presentano un parallelismo di percorso che, per quanto non rigido e totale, è pur sempre notevolissimo. Esso si manifesta nelle Prealpi e specialmente nella pianura; in quelle la direzione generale, non esclusi i laghi, è da nord-nordest a sud-sudovest, in questa da nordovest a sudest formando quindi nell’assieme un ampio angolo ottuso con il vertice rivolto a ovest. Tale parallelismo presenta un particolare interesse nella fascia prealpina, per via delle possibilità di penetrazione; nella pianura, oltre che per la ripartizione del territorio che i fiumi, almeno i maggiori, determinano (Ticino, Adda, Oglio e Mincio segnano in parte il limite di provincia), anche in relazione alla tecnica di utilizzazione delle acque a scopo irriguo.

    Il Po con il ponte di barche presso Borgoforte.

    La valle della Stàffora a Varzi.

    Ma sotto tale aspetto giova ricordare un’altra caratteristica morfologica comune ai fiumi della Lombardia occidentale e ad alcuni dei loro affluenti. Dopo lo sbocco dai solchi vallivi o dai bacini lacustri prealpini, essi affondano il loro corso nelle alluvioni antiche o recenti, formando incisioni più o meno aperte e profonde parecchie decine di metri; tipico è il caso dell’Adda che corre per parecchi chilometri in una gigantesca trincea profonda un centinaio di metri, che fu paragonata a un cañón. A mano a mano che il corso fluviale s’avvicina alla bassa, il dislivello tra la superficie delle acque e il piano di campagna diminuisce. Tale dislivello è normalmente modellato in terrazzi multipli, più o meno ampi, più o meno evidenti, che nei fiumi maggiori, Ticino, Adda e Oglio, pur attenuandosi, si accompagnano per tutto il percorso, anche attraverso la bassa, sino al Po. L’Olona e il Lambro, invece, dopo il tratto superiore profondamente incassato e nettamente terrazzato, raggiunto il limite alto dei fontanili, scorrono a livello del piano di campagna; solamente verso lo sbocco nel Po il loro corso riappare accompagnato da terrazzi. Non manca una giustificata spiegazione di tale morfologia: l’incassatura lungo il corso superiore fu interpretata come una ripresa della capacità erosiva delle acque dei fiumi a causa di un sollevamento generale della regione (avvenuto dopo la glaciazione Mindel); il terrazzamento, sempre nella stessa zona, come una successione di lunghi periodi di piene e di magre. I terrazzi verso la confluenza, invece, sono interpretati come adattamento del solco dell’affluente al livello del grande collettore. Mentre nei fiumi maggiori i terrazzi a valle si sono fusi con quelli a monte, nei fiumi minori il raccordo non è avvenuto, per cui il loro corso presenta una zona mediana non terrazzata.

    Occhio di fontanile (pianura milanese).

    E comprensibile come nell’alta pianura, dove le esigenze di irrigazione sono notevoli, l’apporto di acque dai profondi solchi fluviali non sia stata impresa agevole: sono occorse infatti prese di canali assai a monte e un lungo percorso degli stessi lungo i terrazzi. Può servire come esempio la presa del Villoresi nel Ticino e lo sviluppo del canale parallelamente al fiume sin oltre Tornavento, a più di dieci chilometri dalla presa.

    Un’altra caratteristica importante, la quale ha riflessi non trascurabili sulla utilizzazione delle acque, risiede nel fatto che i quattro maggiori fiumi: Ticino, Adda, Oglio e Mincio sboccano nella pianura come emissari di grandi laghi e questi hanno una importante funzione regolatrice. Anzitutto con la loro estensione attenuano negli emissari gli effetti delle forti variazioni di portata cui sono soggetti i corsi d’acqua montani, alpini e prealpini; soprattutto smorzano la violenza delle piene.

    Inoltre, per la lunga permanenza nei bacini lacustri, le acque alpine perdono quella frigidità e quella torbidità tipica dei fiumi che si alimentano alle nevi e soprattutto ai ghiacciai. Gli emissari perciò convogliano verso il piano acque tiepide e limpide che tornano tanto utili a scopi irrigui e industriali.

    I fontanili

    Il quadro delle acque superficiali non si esaurisce in Lombardia con l’esame della rete idrografica costituita dai fiumi e dai laghi; questa costituisce solo una parte deirintricato reticolato che nella bassa i corsi d’acqua disegnano ad opera non solo dei fiumi ma anche dei canali derivati e dei fontanili. Secoli e secoli di tenace lavoro hanno domato la capricciosa irruenza o la limacciosa pigrizia delle acque, creando una fitta rete di canali di irrigazione e di scolo che, quasi sistema arterioso e venoso, raccolgono e distribuiscono le acque nella misura necessaria all’agricoltura. Ma di questa opera umana vien fatta illustrazione poche pagine appresso. Qui conviene attenersi al fatto idrologico d’ordine naturale costituito dai fontanili, le preziose sorgenti perenni e limpide che tanta floridezza hanno recato all’agricoltura lombarda.

    I fontanili, all’origine dei quali s’è accennato precedentemente, si manifestano in una fascia che dal Ticino al Mincio si distende nella parte mediana della pianura. Il limite settentrionale di essa è costituito da una spezzata che passa in prossimità di Magenta e Rho, s’incurva a sud di Milano, si snoda per Sesto San Giovanni, Melzo, Treviglio, s’insinua in corrispondenza del corso del Serio sino a nord di Martinengo, poi per Chiari, Bagnolo Mella e Castiglione delle Stiviere raggiunge il Mincio presso Volta. L’ampiezza della fascia in cui si manifestano i fontanili è assai variabile; nel complesso è maggiore nella Lombardia occidentale meno nella orientale: tra la Sesia e il Ticino si può calcolare di una trentina di chilometri; tra il Ticino e l’Adda è, come massimo, di una ventina di chilometri; oltre l’Adda va via via riducendosi sino a un paio di chilometri o poco più al limite orientale. Il numero dei fontanili è difficile a precisarsi; un conteggio eseguito per la provincia di Milano ne assomma oltre 600 ed è certamente errato per difetto; sicché è presumibile che in tutta la pianura lombarda ve ne siano come minimo un paio di migliaia. Da notare che l’afflusso medio di acque per i 600 fontanili è computabile complessivamente in non meno di un centinaio di metri cubi al secondo, e quindi si può calcolare che il volume d’acqua donato da tutti i fontanili lombardi sia almeno pari alla portata media di un fiume come l’Adda! Queste considerazioni, sia pur tenendo conto della loro larga approssimazione, possono dar l’idea dell’importanza che i fontanili rivestono nel quadro idrografico della bassa.

    La zona dei fontanili nella pianura lombarda.

    La variazione del flusso d’acqua con il variare delle stagioni non è molto forte; aumenta di riflesso all’aumentare delle piogge e alle piene dei fiumi e diminuisce in relazione al diminuire delle piogge o alle magre dei fiumi; ossia i fontanili hanno maggior volume di acque nella primavera inoltrata e nel tardo autunno. Allora l’occhio, com’è chiamata la polla sorgentizia, sgorga vigoroso ed è nettamente visibile sullo specchio d’acqua, per il pullulare rapido a simiglianza di acqua bollente. Riguardo poi alla temperatura dell’acqua, ripetuti esperimenti effettuati durante l’inverno hanno confermato che, con una temperatura dell’atmosfera in vicinanza del suolo di 0°, e una temperatura del suolo in superficie di +0°,5, le acque dei fontanili hanno temperature oscillanti tra i +10° e i +12°. Per contro, misurazioni compiute durante l’estate hanno dimostrato che con una temperatura dell’aria di +24°, le acque conservano alla sorgente una temperatura di poco superiore a quella invernale e, pur potendo lungo le rogge assorbire calore, non raggiungono temperature di oltre + 16-18° Sicché l’utilizzazione delle acque a scopo irriguo è considerato prezioso soprattutto durante l’inverno e infatti sono proprio i fontanili che hanno favorito l’affermarsi della marcita. Si comprende quindi come sin dall’antichità gli agricoltori abbiano favorito l’afflusso delle acque inserendo nel terreno tini senza fondo o tubi di ferro (ora anche di cemento), allargando la testa del fontanile con scavi, ampliando le aste di sfogo, ecc.

    Se le sorgenti di pianura costituiscono nel loro assieme un fenomeno di notevole importanza anche per i riflessi nel campo economico, è però da non dimenticare il gruppo assai numeroso e vario delle sorgenti della zona di montagna. Tra esse le intermittenti o, più propriamente, intercalari hanno attirato l’attenzione sin dall’antichità; la più illustre è quella detta Pliniana, perchè ne fecero cenno Plinio il Vecchio nella sua Storia Naturale (II, 106) e Plinio il Giovane nelle sue Epistole (IV, 30); essa suscitò la curiosità anche di Leonardo da Vinci. La fonte si trova nel parco della solitaria villa omonima sulla sponda orientale del secondo bacino del lago di Como; scende con un salto di circa 80 m. formando una bella cascata ora ricca ora povera di acque, la cui variabilità viene spiegata in connessione a irregolarità del corso sotterraneo, forse in parte con sviluppo a guisa di sifone, per cui le acque sgorgano più abbondanti quando il loro livello, colmato il sifone, supera il gomito superiore; esaurita la riserva il flusso s’attenua in attesa che il sifone nuovamente sia colmo.

    Ad irregolarità del corso sotterraneo è dovuta anche la variabilità del flusso della piccola sorgente del fiume Lambro che sgorga al Pian Rancio a 942 m. ; localmente è chiamata Menaresta, termine dialettale che vorrebbe significare l’aumento (mena) e la diminuzione (resta) di acque. La sorgente sgorga infatti ininterrottamente, ma con variazioni sensibili di quantità, non però a periodicità regolare. Aumento e diminuzione possono alternarsi nel volgere di uno stesso giorno o a distanza di più giorni. La media del flusso è di 30 metri cubi al giorno, con minimi di 9 e massimi di 90.

    Più spettacolare è il fenomeno del Fiumelatte cui fa cenno Leonardo da Vinci in una nota del Codice atlantico. La sorgente si trova sulla sponda orientale del lago di Como e più esattamente nel centro lago, a pochi chilometri a sud di Varenna. Il getto d’acqua compare d’improvviso a primavera da una piccola grotta a un centinaio di metri sopra il livello del lago; il flusso è notevole e scende ripido e impetuoso in bianca spuma, tanto da sembrare latte, come dice il nome. In autunno, al sopravvenire del gelo, la fonte s’inaridisce e per tutto l’inverno rimane asciutta. L’esplorazione della cavità (1933) ha assodato che il Fiumelatte rappresenta lo sfioratore di un corso sotterraneo ad acque perenni, che s’arricchisce d’acque al sopravvenire dello sgelo e sfoga per mezzo della sorgente, pure perenne, detta Uga, dalla quale traggono alimento le cascatelle del parco di Villa Capuana.

    E ovvio che questi interessanti fenomeni rientrano nel quadro parzialmente noto, ma certamente grandioso, della circolazione profonda delle acque legata al fenomeno carsico, e quindi proprio della zona prealpina. Per quanto in Lombardia non si abbiano fenomeni così imponenti come nella Venezia Giulia tuttavia non mancano esempi interessanti oltre che di sorgenti carsiche anche di laghi e di fiumi sotterranei. Come esempio più tipico si può ricordare l’abisso Rameròn nel monte Campo dei Fiori, con un laghetto e un corso d’acqua.

    Roggia di irrigazione nella bassa pianura.