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Origine del nome

    Calabria

    La Calabria estrema diramazione meridionale della penisola italica

    Per chi la consideri topograficamente, la Calabria è l’estrema diramazione meridionale della penisola italica: è quindi una penisola che dirama dalla maggiore là dove questa muta le più famigliari forme del suo rilievo e la sua direzione diagonale, perchè muta in modo radicale la costituzione dei terreni, e al fusto — abbastanza giovane di formazione — della penisola italica, che è emerso per buona parte in epoca terziaria, si giustappone l’avanzo di un antichissimo continente, formatosi nell’epoca più remota della storia della terra, come risultato dell’orogenesi ercinica. Se la guardiamo in figura su una carta, la penisola della Calabria si tira per 250 km. in lungo, in direzione approssimativa da nord a sud, e va in complesso a poco a poco stringendosi: ma tale assottigliamento non è uniforme. In realtà la penisola è alquanto articolata di profilo, o meglio alterna zone di sagoma corposa, con promontori e punte, che corrispondono ad aree di principali rilievi, a zone assottigliate, a volte esili, che lasciano aprirsi ingolfature in genere alquanto pronunziate. Ne risulta un forte svolgimento di coste (per 780 km.): ma al di là di queste la penisola non è bordata da nessun gruppo insulare.

    Un nome regionale migrato da oriente

    La definizione topografica della regione è quindi molto facile: la svelta penisola è circondata da notevoli spazi di mare su tre lati: il Tirreno a occidente, lo Ionio a oriente e lo Stretto di Messina che la chiude a sud. Solo a nord, per un fronte di neanche 80 km. essa ha confini terrestri: ma anche questo confine è facile da individuare per l’incisività dei suoi elementi. Abitualmente si pone come limite settentrionale della Calabria il massiccio del monte Pollino, arenare-argilloso ad oriente e calcare a ponente, che culmina a 2271 m. e che, orientato a mo’ di quinta da ovest a est e arroccato con le sue diramazioni da mare a mare, pare chiuda da nord l’accesso della penisola bruzia. Fisicamente però il massiccio del Pollino forma l’estremo gruppo meridionale di quella sezione dell’Appennino che ha nome di « lucano », e perciò congiunge la Calabria con l’impalcatura mesozoica e cenozoica della penisola italica: e di contro, al di là della depressione che limita a meridione il Pollino, la penisola bruzia è di formazione più remota (cioè paleozoica) e ha una costituzione diversa: cioè non calcare o marnosa, come buona parte dei rilievi del tronco meridionale della penisola italica, ma cristallina. Per tale ragione risulta poco convincente il limite della Calabria posto da un geonaturalista, il Kanter, che una trentina di anni fa ha studiato esaurientemente le condizioni naturali della penisola: il limite della regione da lui indicato lungo la scarpata settentrionale del Pollino — che coincide con una grande valle, corsa dal fiume Sinni — porta in un ambiente che è per qualunque riguardo al di fuori della Calabria.

    Vedi Anche:  Forme e tipi di insediamento

    Ma in verità non è su elementi fisici che si può definire il limite di una regione come quello di cui inizio ora lo studio: le regioni italiane, grandi o piccine (che abbian raggiunto un riconoscimento nella Costituzione nazionale, o che esistano al di fuori di tale riconoscimento, o che sian solo l’eredità di una viva tradizione locale) sono frutto di storia umana: solo di questa e non di eventi o di forme o di condizioni naturali. Perciò se a loro limiti si riconoscono — a guisa di zona — degli elementi della natura, è perchè essi rivestono in tal caso un valore squisitamente umano di discriminazione, o di partizione o di transizione, che non ha niente a che vedere con il loro valore — qualunque sia — naturale. Per la Calabria, il cui nome pure (migrato qui dalla penisola salentina dopo il secolo VI) è risultato di particolari eventi storici, va indicato come limite settentrionale la zona cacuminale del gruppo del Pollino che — a chi guardi specialmente dalla più settentrionale pianura di Calabria: quella di Sibari — pare veramente chiudere e limitare la regione con una uniforme quinta di rilievi aspri e cuspidati.

    Lo Stretto di Messina fra Scilla (in basso) e Faro.

    Carta tectonica schematica dell’Italia meridionale.

    Esilità topografica e asprezza di configurazione

    È facile capire come questo non è stato in ogni età il limite della Calabria: uno dei migliori cultori di studi bruzi, l’Isnardi, dimostrò diversi anni fa che quella confìnazione risale al 900 d. C. o giù di lì — cioè a età bizantina — quando l’esercito di Foca potè fermare e respingere l’estrema avanzata della conquista longobarda. Fu precisamente in quei secoli di faticosi rivolgimenti politici ed economici, che l’uomo assegnò valore di limite a quel poderoso bastione di monti. Prima, cioè agli inizi della storia italica, quando le popolazioni dell’estremità meridionale della penisola — i Lucani e i Bruzi — stabilirono un confine fra gli spazi di loro pertinenza (e fu con ogni probabilità nel quarto secolo a. C.), il limite settentrionale della regione, che a quei tempi desumeva la sua individualità dal fatto che era popolata dai Bruzi, non si trovava sul monte Pollino ma lungo i fiumi della piana di Sibari, cioè il Crati e il Coscile (e più a monte l’Esaro) le cui rive paludose e i cui corsi incerti e di frequente mutevoli avevano, per dei pastori già praticanti la migrazione stagionale del bestiame fra monti e litorale, un valore ben più incisivo di una groppa o una quinta di monti.

    Ma da oltre una decina di secoli a oggi il limite del Pollino ha conservato a grandi linee una notevole stabilità. I limiti politici odierni della regione (riconosciuta come individualità dalla Costituzione nazionale) in realtà si identificano solo in qualche parte con il crinale di quel rilievo: vale a dire unicamente nella sua zona mediana, ove il bastione del Pollino è più unito, elevato e non intagliato da strade e raro anche di mulattiere. E diversamente ai suoi margini occidentali e orientali, ove il rilievo via via diventa meno forte perchè frazionato ed eroso da bacini di raccolta di diversi fiumi, pure la confìnazione amministrativa si fa più oscillante e divaga per dorsi laterali (ad es. quello di Serra Mala, fra i bacini del fiume Lao e del fiume Noce) e per minori rivi (la fiumara di Castelluccio) o per margini di boschi (come il grande bosco di Lagoforano sul versante sud orientale del Pollino). In qualche zona, e specialmente lungo le principali vie di comunicazione con il resto del Mezzogiorno, questa confinazione discorda di più dalle linee maestre della topografia: ma in ogni modo sono variazioni di poco risalto. Le più appariscenti si riferiscono al distretto più elevato del bacino del Lao — che si raccoglie nel fiume Mèrcure — di cui vari comuni (Rotonda, Viaggianello, Castelluccio), posti lungo la sola via che da età romana ha unito la regione di Napoli con la valle del Crati, sono giustamente inclusi in Basilicata perchè gravitano da molti secoli decisamente verso il bacino di Laurìa e formano (con i due comuni bruzi di Laino) le punte avanzate della penetrazione basilisca verso la Calabria. Qualche minore disparità con la topografia vi è poi agli estremi orientali del gruppo del Pollino, ove diversi comuni lucani (come Nocara, Rocca Imperiale ecc.) furono due secoli fa assegnati con poca ragione alla Calabria: i cui limiti di riflesso venivano a progredire ulteriormente più a nord, fino a debordare su alcuni rivi confluenti nel bacino del Sinni, in zona che non ha più niente di Calabria.

    Vedi Anche:  La storia della Calabria

    La prima carta regionale a stampa della Calabria, disegnata da Prospero Parisi, archeologo e numismatico cosentino, e incisa in rame da Natal Bonifazio da Sebenico. Fu edita la prima volta nel 1589 e di nuovo nel 1592. Nella dedica l’autore dichiara di aver voluto descrivere con quanta maggior cura ai suoi tempi si poteva, la sua regione natale, per la qual cosa « totam undequaque Cala-briam perlustravi, singillatim loca recensiti et notavi, omnique parte non auritus sed oculatus testis esse volui ».

    Uno stralcio da l’Atlante geografico del Regno di Napoli delineato per ordine di Ferdinando IV ecc., da G. A. Rizzi Zannoni ecc., e terminato nel 1808. La figurazione — la prima veramente scientifica della regione — è basata su lavori di triangolazione. L’Atlante è formato di 31 fogli (la Calabria vi è inclusa nei fogli da 25 a 31) incisi su rame a scala 1 : 110 mila. Fu edito fra il 1808 e il 1812. Lo stralcio qui figurato con la zona di Nicastro e la piana di Sant’Eufemia è desunto dal foglio 28. Notare a sud la strada delle Calabrie.

     

    Ma per maggior chiarezza ho scelto in quest’opera a confini della Calabria — là dove la storia locale li ha resi incerti e meno stabili — quelli più elementari e topograficamente meglio riconoscibili, qua e là diversificando quindi (per spazi trascurabili) dai limiti politici odierni, ove questi ultimi sono stati più mutevoli negli ultimi due secoli perchè non furono stabiliti su elementi discriminatori salienti.

    Perciò, concordemente al parere di Isnardi, ho preso come limiti della Calabria — unicamente col valore di riferimento (e niente più) che ha nella storia umana ogni zona del genere — quello del crinale del Pollino e delle sue principali diramazioni verso il prossimo gruppo lucano del Sirino a nord ovest, e verso il mare ionico a oriente fino ad Oriolo, Nocara, ecc. Questo crinale lo si può seguire per almeno 60 chilometri. A oriente la sua diramazione ultima, con una groppa di deserte argille scagliose porta al rivo ionico di Canna; e a ovest l’impervia quinta di Serra Mala strapiomba sulla fiumara del Noce: con pochi chilometri di fiumare aggiunti a quei 60 di rilievi, si è quindi su ambo i lati al mare. E questo brusco calare sul mare dopo una gran sequenza di monti ora aspri e ora austeri, non esprime solo una configurazione della zona che segna a nord i limiti della Calabria, ma è il motivo che domina buona parte della topografia di questa regione.

    Vedi Anche:  Corsi d'acqua e fiumi

    Uno stralcio da l’Atlante di Rizzi Zannoni (foglio 28) con il versante meridionale della Sila e la zona di Catanzaro. La strada delle Calabrie ha a Tiriolo una diramazione per Catanzaro. A sud vari paesi distrutti dal sisma del 1783 e ricostruiti a qualche distanza.




    Uno stralcio da l’Atlante di Rizzi Zannoni (foglio 28) con la zona dei Casali di Cosenza. Notare la strada delle Calabrie che sfiora i principali villaggi.

    Nei limiti ora disegnati la superfice della regione da esaminare è di 15.200 chilometri quadri. Ma questo valore significa poco. Scriveva giustamente Tlsnardi qualche anno fa che non vi è fra le principali o tradizionali regioni in cui si suol dividere l’Italia, una regione più mutevole e disunita in sè, e insieme più ingannevole in fatto di dimensioni. Non è grande e ha configurazione esile; ma a entrarvi e girarla per conoscerla diventa di più faticato viaggio di molte più vaste regioni del nord. E, diversamente da quelle, le manca pure un centro di visione da cui sia consentito « di riassumerla allo sguardo e alla immaginazione, di intuirne rapidamente e abbastanza sicuramente la forma paesistica ». La qual cosa ha influito fortemente, nei secoli di minore pulsazione e organicità della vita sociale — che sono poi la maggior parte della storia della Calabria — a frantumare la regione in minuscoli distretti più o meno autonomi, e a crearvi dei valori di insularità che solo negli ultimi cinquantanni a poco a poco, ma specialmente nel dopoguerra ultimo, iniziarono a svanire.