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Territori e rilievi

    Lineamenti e forme del rilievo

    La plastica regionale

    Secondo una recente ripartizione del territorio italiano in zone altimetriche, è risultato che il 32,5% è costituito da montagna (aree con altitudine, di regola, non inferiore a 600 m. nell’Italia settentrionale e 700 m. nell’Italia centro-meridionale e insulare), il 41,6% da collina e il 23,2% da pianura. Seguendo i criteri di questa classificazione (che va accolta con riserva), la Puglia si distingue in maniera del tutto eccezionale rispetto ai valori nazionali in quanto l’1,4% è di montagna (290 kmq.), il 45,2% è di collina (8760 kmq.) e il 53,7% di pianura (10.300 kmq.).

    L’esigua estensione di montagne è tale che la Puglia, per questo riguardo, si classifica all’ultimo posto tra le regioni italiane, seguendo a grande distanza la penultima — l’Umbria — che pure ha 2380 kmq. di superficie montagnosa. Per l’estensione collinare, invece, la Puglia è tra le prime regioni, superata soltanto dalla Sardegna, dalla Sicilia, dalla Toscana e di poco dal Lazio (9280 kmq.). Al quarto posto è la Puglia per l’estensione della pianura, seguendo nell’ordine la Lombardia (11.170 kmq.), l’Emilia-Romagna (10.570 kmq.) e il Veneto (10.400 kmq.), che peraltro rivelano un esiguo vantaggio.

    La caratteristica del rilievo pugliese, come si può desumere da questi dati, consiste nell’assenza della montagna e nella presenza di una grande estensione di pianura, esasperata da una collina in gran parte raccolta in se stessa, perchè quasi tutta formata dal compatto altopiano delle Murge, in provincia di Bari.

    La tabella che segue fornisce ulteriori elementi di dettaglio e dà motivo di altri chiarimenti :








    Province

    Montagna kmq

    Collina kmq

    Pianura kmq

    Totale

    Foggia

    290

    3040

    3850

    7180

    Bari

    4050

    1080

    5I30

    Taranto

    1100

    1340

    2440

    Brindisi

    570

    1270

    1840

    Lecce

    2760

    2760

    Puglia

    290

    8760

    10300

    19350

    Dal prospetto si ricava che una sola provincia, quella più settentrionale (Foggia), presenta zone montuose; questa stessa ha pure le più estese pianure. La provincia più meridionale (Lecce), che coincide con una regione geograficamente individuata come il Salento è costituita da pianura in forma esclusiva, mentre nelle province di Brindisi e Taranto la pianura ha una semplice prevalenza. Zona di collina, secondo la statistica, sarebbe la provincia di Bari, ove in effetti manca la collina nella sua normale espressione morfologica. Ma la statistica si basa su dati esclusivamente alti-metrici e non può tener conto di fatti qualitativi, come l’impianto della provincia di Bari sul piano inclinato delle Murge, sbloccato in gradini che definiscono ampie balconate successive discendenti verso il mare.

    Una complessa superficie orizzontale domina anche nella Murgia dei Trulli.

    Le zone altimetriche secondo le circoscrizioni dell’Istituto Centrale di Statistica.

    La plastica della regione pugliese è sostanzialmente dominata da superfici orizzontali, che lo sguardo rileva osservando il perimetro cacuminale del Gargano e delle Murge o quasi sempre cercando invano un confine morfologico al Tavoliere di Foggia e di Lecce, limitati soltanto da un orizzonte ove cielo e terra confondono le reciproche sfumate lontananze. In realtà, l’unico rilievo in cui la montagna sviluppa elementi di caratterizzazione è costituito dai Monti della Daunia e dal Subappennino pugliese (Appennino di Capitanata). Ma tali monti, pugliesi solo nel versante orientale, costituiscono una cornice periferica e oltremodo limitata rispetto al quadro morfologico della Puglia. Questa manca della montagna fatta di vette in fuga spiccanti dall’intrico di valli che tortuosamente si incontrano, fatta di contrasti di quote in superfici relativamente ristrette, e soprattutto fatta di quelle altezze in cui alla soddisfazione di scalare la montagna si unisca la sensazione di essere giunti nel bel mezzo del cielo. Le elevazioni sembrano ancor più modeste per la mancanza di notevoli difficoltà al raggiungimento delle vette, stemperate in nudi dossi cupo-leggianti — toppe e motte — o in ripiani smerigliati dal vento.

    Monte Calvo, il più alto monte del Gargano, presenta presso la vetta questa dolina in parte franata.

    La più alta cima pugliese è il Monte Cornacchia (1152 m.) nei Monti della Daunia; segue il Monte Calvo (1056 m.) nel Gargano. Poche altre cime superano i 1000 m. : Monte Crispiniano (1105 m.), Monte Pagliarone (1042 m.) e Monte San Vito (1015 m.) nei Monti della Daunia; Monte Nero (1012 m.) e Monte Spigno (1009 m.) nel Gargano.

    Non figura in questo elenco la Puglia a sud dell’Ofanto, ove le altezze maggiori si allineano nelle Murge Alte, culminando con la Torre Disperata (686 m.), fiancheggiata a breve distanza dal Monte Scorzone a nord (670 m.) e dalla Murgia Ser-raficaia a sud (673 m.). Nella Penisola Salentina, le Murge Tarantine (Monte Bagnolo 125 m.) e le Murge Salentine (195 m.), sono lievi ondulazioni, che si notano soltanto perchè ravvivano, e in area circoscritta, l’uniformità della piana.

    Forse uno degli spettacoli più belli che la natura possa offrire in terra di Puglia, è la visione del Tavoliere di Foggia, percorso dal brivido del vento che muove ad onde larghe e flessuose un mare biondeggiante di spighe di grano. Nel mese di giugno, assolato e già canicolare, stupendamente abbacinante, il Tavoliere manifesta la generosa fertilità dei suoli interposti tra l’Appennino di Capitanata e il Gargano, tra il confine settentrionale articolato sulle alture di Apricena, di San Paolo di Civi-tate e di Torremaggiore e la spiaggia arcuata e sabbiosa che da Manfredonia giunge alla foce dell’Ofanto. Dalle depressioni che si stendono a ridosso del litorale sabbioso, il Tavoliere va insensibilmente innalzandosi — ma direi piuttosto emergendo — verso l’interno, a Foggia (m. 70 s. m.), che, in linea d’aria dista dal golfo di Manfredonia circa 30 km., a San Severo che, situata a 89 m., ne dista circa 45 chilometri. La pendenza media è pertanto pari ad 1,9 per %o, e ciò spiega il corso tortuoso di fiumi e torrenti e gli impaludamenti frequentissimi quando le masse d’acqua non sono comunque agevolate per fluire al mare. Lungo circa 80 km. e largo in media circa 30 km., il Tavoliere è una delle più grandi pianure dell’Italia meridionale. Dal Catasto Agrario possiamo desumere che l’area tipica del Tavoliere (zona XXXII, Piano del Vero Tavoliere) è pari a kmq. 505.

    Sebbene totalmente entro i limiti amministrativi della provincia di Brindisi, la denominazione di Tavoliere di Lecce mantiene ancora una sua vitalità « cartografica » per designare la pianura delimitata a nord dalle ultime ondulazioni meridionali delle Murge e ad ovest dalle Murge Tarantine; altrove i confini naturali non sono ben netti e la stessa denominazione suscita qualche perplessità. Tuttavia abbiamo ritenuto opportuno ricordare questa parte del Salento, perchè è la più spianata di tutta l’estrema penisola orientale d’Italia, la quale è nel complesso un’area pianeggiante, ma nei particolari è molto accidentata dalle taglienti dorsali delle Serre. Mancano punti elevati per poter cogliere qualche impressione panoramica; ove ciò sia possibile, l’orizzonte è limitato dalle frequentissime e intense colture arboree, tra cui l’olivo è prevalente. La superficie del Tavoliere di Lecce è di circa 500 kmq. ; la superficie di tutta la pianura del Salento, compreso il Tavoliere, è di circa kmq. 3484.

    Il Tavoliere di Puglia dopo la mietitura.

    Il Salento è in genere molto piatto.

    Un paesaggio di media collina lo troviamo nelle Murge, innalzantesi dalla costa adriatica verso l’interno con un’evidente gradinata, che strapiomba in corrispondenza delle valli Basentello-Bràdano, che i geologi hanno espressivamente denominato Fossa Bradanica. Il più vistoso gradino orientale di questo enorme piano inclinato si articola uniforme tra i m. 200 e i 300 s. m. come avviene da Fasano a Selva di Fasano, ove il fenomeno appare più imponente perchè può essere osservato da quote vicine relativamente basse, dato che in questa zona le Murge propriamente dette precipitano abrupte a 4 km. dalla costa. Il gradino stesso risulta meno aspro ed acclive in terra di Bari, ove è sostituito da una serie di ripiani a gradinata, disposti ad anfiteatro. La morfologia è tale che la degradazione del suolo sia qui più limitata, e consenta un’intensa utilizzazione agricola della zona, cui corrisponde un fitto insediamento umano, come nella zona agraria « Pianura interna di Modugno », con circa 400 abitanti per chilometro quadrato!

    Sezione schematica delle Murge centrali (da Bari a Santèramo in Colle) e meridionali (da Savelletri ad Alberobello).

     

    Le Murge praticamente si dischiudono verso l’Adriatico e voltano le spalle alla Basilicata, ove costituiscono una naturale muraglia lungo la maggior parte del confine orientale. A questa forma di sbarramento territoriale corrisponde una scarsa densità di popolazione, che nella zona agraria « Alta collina di Altamura » è pari a circa 75 abitanti per chilometro quadrato.

    Le Murge hanno la maggior lunghezza di circa 150 km. e la media larghezza — compresa la fascia costiera — pari a circa 30 km.; l’area complessiva è di circa kmq. 4290.

    Un gradino delle Murge presso la selva di Fasano.

    Natura ed età delle rocce

    Le rocce che costituiscono la regione pugliese sono di natura esogena in grande prevalenza, mentre del tutto limitata è la presenza di rocce endogene. Queste ultime, infatti, figurano in ristretta area di circa 2500 mq. e formano la Punta delle Pietre Nere, all’estremità occidentale del cordone litoraneo che chiude il lago di Lesina.

    Secondo le ricerche più recenti (svolte a cura dell’Istituto di Geologia Applicata dell’Università di Napoli), la Punta delle Pietre Nere è costituita da un affioramento di gesso a struttura illùdale, seguito a settentrione da una formazione di calcari marnosi e scistosi con fossili del Trias, accompagnata da rocce ignee eminentemente basiche. Questo complesso così singolare nell’ambiente pugliese, sarebbe venuto in luce per diapirismo, per ascesa di tutta la formazione attraverso una linea di frattura, che molto probabilmente si collega con la « faglia di Apricena ». Le rocce vulcaniche sono frammenti di intrusioni già avvenute in seno ai calcari del Trias e portate in superficie dalla massa dei gessi, che, come è ormai accertato, tendono diapiricamente a salire nella crosta terrestre.

    Pianure costiere (Fasano)

    A titolo di curiosità possiamo ricordare che forse sono di origine vulcanica quei suoli detti arene o ceneri, che sono diffusi nei territori di Noci, Alberobello e Castellana e che sono utilizzati per la preparazione di malte idrauliche. Non è improbabile che si tratti di polveri eruttate, ad esempio, durante i periodi di attività del Vùlture, trasportate dai venti e qui lasciate cadere. Alla normale frequenza in Puglia di fenomeni dovuti all’azione del vento si accennerà nel capitolo riguardante il clima; tuttavia, per il caso specifico, si ricorderà che tra le fotografie scelte da Cosimo Ber-tacchi per illustrare il suo volume sulla Puglia, ve n’è una da considerarsi molto importante con la seguente didascalia: «Ceneri del Vesuvio in Puglia nel 1906».

    L’assenza delle rocce di origine vulcanica è quasi totale, mentre le rocce di natura calcarea, esclusiva o prevalente, interessano quasi tutta la regione (naturalmente escluse le aree alluvionali), costituendone l’ossatura fondamentale.

    Carta geolitologica.

    Diverse cause intervengono per conferire a questa formazione una grande varietà di strutture e di aspetto. Innanzi tutto va notato il diverso grado di coesione della roccia stessa, che può rinvenirsi compatta, dura e massiva oppure tenera e addirittura farinosa. Il fenomeno è poi frequentemente esaltato dalla concomitanza di elementi estranei arenacei, sabbiosi e argillosi. Nelle Murge il calcare presenta pile di particolare durezza; in talune zone della penisola del Salento esso è cosi tenero da poter essere segato e sagomato come il legno! Anche la stratificazione determina differenze di notevole entità a seconda dello spessore degli strati, sia per quanto si riferisce all’opera di demolizione operata dagli agenti meteorologici, sia per l’utilizzazione che ne realizza l’uomo. E noto infatti che l’architettura rustica di gran parte della Puglia è impostata sulla « chianca », cioè su una lastra calcarea di spessore variabile dai 3 ai 7 centimetri. Del resto pure lo spietramento effettuato per ampliare le zone a coltura, viene reso possibile, o per lo meno facilitato, dal tenue spessore della stratificazione. Ove questa manchi, sono invece frequenti i pilastri e gli spuntoni rocciosi a documento della dura fatica dell’uomo, e che infondono spesso la caratteristica di un paesaggio spontaneo ruderale.

    V’è poi da osservare che gran parte delle masse calcaree sono state oggetto di intense dislocazioni, dalle quali sono state tettonicamente travagliate ed elaborate con produzione di macro e microfratture, che hanno conferito alle masse stesse una specifica attitudine al carsismo. In particolare l’esempio è offerto dai calcari del Gargano, delle Murge e delle Serre del Salento, ove il carsismo subaereo ed ipogeo risulta molto diffuso e con forme di caratterizzazione specifica.

    Tra marne ed argille dell’Appennino di Capitanata.

    I suoli alluvionali sia di origine marina che continentale, si estendono soprattutto nel Tavoliere di Puglia, nell’arco ionico immediatamente a est e ad ovest del Mar Piccolo, e nell’agro brindisino. I suoli di origine marina sono formati da depositi sabbiosi, argillosi e di conglomerati a cemento calcareo o marnoso, mentre quelli di origine continentale presentano stratificazioni a banchi lenticolari di varia potenza con argille, brecce e puddinghe.

    Particolarmente estesi nella cornice orografica dell’Appennino di Capitanata sono i terreni in facies di Flysch. Le argille risultano in assoluta prevalenza, ma con ampie lenti arenacee e con caratteristici interclusi litoidi; talvolta esse sono irretite da intercalazioni marnose, che, più resistenti all’erosione, spiccano bruscamente dalla complessa formazione caotica. Questa congerie di rocce, forma suoli franosi, che generano forme del terreno incise e cariate, serio pericolo per la stabilità edilizia, un ostacolo permanente per l’efficienza delle comunicazioni, ed infine un magro humus per le esigenze edafiche delle colture.

    L’età delle rocce pugliesi non riguarda affatto nè l’Archeozoico nè il Paleozoico. Le più antiche appartengono all’èra Mesozoica e precisamente al suo ultimo periodo, il Cretaceo (la presenza del Trias della Punta delle Pietre Nere è puramente accidentale). Rientrano in questa formazione i calcari del Gargano, delle Murge e delle Serre Salentine. Il Cretaceo inferiore viene riferito al Neocomiano e risulta diffuso nel Gargano orientale. Secondo il Checchia Rispoli tale formazione si presenta sotto forma di « calcari grigi compatti con vene spatiche, talora oolitici, sottilmente stratificati, passanti lateralmente a dolomie cristalline bianco-grige con Nerineae, piccole Requie-niae… Calcari bianchi compatti; calcari marnosi; marne giallicce con interstrati di selce… passanti inferiormente a dolomie saccaroidi bianche con strati di selce nella parte superiore ed a calcari cerulei cristallini ».

    Anche nelle Murge si riscontra una coeva « dolomia bruna, a struttura cristallina, talora affatto saccaroide, compatta o brecciforme, con frammenti commisti di calcare compatto ed in generale bituminosa ».

    Si hanno inoltre i calcari a Requieniae « di potenza ritenuta superiore a 600 m., di solito compatti, talora cristallini, duri o teneri, per lo più bianco-giallastri, sfumanti talora al grigio, raramente al roseo. Contengono raramente fossili e mai negli strati profondi che hanno tutto l’aspetto di un sedimento abiotico di mare piuttosto profondo. Essi si presentano sempre stratificati con potenza dei singoli strati che oscilla fra pochi centimetri e un metro nei piani superficiali mentre in profondità superano la potenza di parecchi metri ».

    Il Cretaceo superiore è rappresentato dai piani del Turoniano che passa inferiormente al Cenomaniano, ed è spiccatamente individuale perchè è spesso fossilifero con magnifiche rudiste. Tutto il Gargano occidentale, le Murge e le Serre Salentine appartengono a questa formazione geologica, che costituisce circa il 60% della superficie territoriale pugliese.

    I calcari del Cretaceo superiore sono per lo più bianco-lattei, ma con cementazione molto variabile, perchè da forme compatte si passa ad altre del tutto farinose. Inoltre nella parte superiore si riscontrano calcari semicristallini e calcari ceroidi, con colorazioni gialline o ambrate, spesso dotate di pallida Tubescenza.

    Caratteristiche stratificazioni nella costa meridionale garganica.

    Il Cenozoico inferiore (Paleogene) ha nel complesso piccola estensione limitata alla periferia della Puglia, ed è rappresentata dal periodo eocenico. Le placche più significative dei calcari dell’Eocene si distribuiscono lungo il perimetro costiero gar-ganico, ove formano aree del tutto avulse dal complesso, evidentemente sovrapposte e giustapposte, come quelle di Monte Saraceno tra Mattinata e Monte Sant’Angelo, di Monte Pucci tra San Menaio e Pèschici. Un’area più vasta, sbloccata e frantumata, interessa tutto l’arco convesso interposto tra Pèschici e Vieste. Questi calcari sono spesso teneri, a grana minuta ma con scarso cemento, e consentono con facilità l’isolamento dei fossili caratteristici, i nummuliti, cioè gli organismi litogenetici a forma di nummus = moneta, ai quali queste formazioni devono la loro origine. Compatto e durissimo è il calcare eocenico dell’isola di Caprara nell’arcipelago delle Trèmiti. Una recente segnalazione di Oligocene interessa il territorio a sud di Otranto.

    Il Cenozoico superiore o Neogene è invece molto esteso e ben rappresentato nei suoi periodi Miocene e Pliocene. Le formazioni mioceniche, di calcari tufacei, con sabbie molasse e marne, sono localizzate prevalentemente a nord e a sud della regione : nel Gargano e nel Salento. In ambedue le zone le formazioni non costituiscono estese aree compatte, ma sono frammentate, e nel Gargano risultano persino disperse. Infatti qui si nota una placca immediatamente a est di San Giovanni Rotondo nel versante meridionale, e, in quello settentrionale si notano tre placche distinte e successive da Carpino a Cagnano Varano e a San Nicandro Gargànico.

    Il Miocene nel Salento si identifica con la cosiddetta « pietra leccese » : calcare tenero quasi sabbioso, ricco di globigerine e di invertebrati, pesci, odontoceti, ecc. Il Pliocene è caratterizzato in prevalenza da tufi calcarei organogeni che si riferiscono alla facies astiarla, che è quella che conclude tutto il Cenozoico. Distribuito un po’ ovunque, è soprattutto noto nella Puglia centrale e meridionale per la sua utilizzazione come materiale edilizio.

    Tra le numerose qualità ricordiamo, con le denominazioni locali, il càrparo, tufo grigio di buon carico ; il cozzoso, rosato o giallino e ricco di valve ; il rognoso, lievemente brecciato e conchigliare ; lo scorzo, che è un tufo fossilifero formato da lamellibranchi e briozoari; lo zuppigno, giallino, e sufficientemente compatto. Questi tufi, di facile lavorazione in cava per la loro tenerezza, si induriscono sempre più al contatto dell’aria.

    Il Pliocene inferiore è costituito dalle argille grigio-azzurre della facies piacenziana, a lunghi cordoni periferici o ad esigue placche interne. Nel primo caso le formazioni si rinvengono alla base dei Monti della Daunia e lungo il perimetro bradanico delle Murge; nel secondo caso tali formazioni sono tipiche soprattutto dei ripiani delle Murge. Fra queste ultime dobbiamo ricordare la placca argillosa di Ruvo di Puglia, che ha consentito un’industria fittile artigiana che vanta gloriosa tradizione.

    L’ « architiello » di Caprara (Isole Trèmiti).

    Monolite naturale presso Vieste, detto « Pizzu ‘e munnu ».

    Il Quaternario ha operato il riempimento del Tavoliere saldando con terre emerse il Gargano e l’Appennino, ha ampliato con placche periferiche l’istmo messapico nelle aree estreme di un ideale segmento di congiunzione dell’insenatura di Taranto con quella di Brindisi, più piccola ma non meno incisiva e sintomatica. Sempre durante

    il Quaternario, si è effettuato un lavoro di sagomatura costiera mediante ampie e spesse coltri di conglomerati vari, come fra Manfredonia e Monte Saraceno nel Gargano meridionale, o nel caratteristico aggetto peninsulare che ha il suo protendimento estremo nell’isoletta che ha dato ospitalità alla vecchia Gallipoli. La sagomatura è stata pure effettuata mediante cordoni litoranei, come è avvenuto nel Gargano settentrionale, ove potenti lidi sabbiosi hanno chiuso a mare gli antichi seni di Lésina e di Varano, o come è avvenuto lungo la costa adriatica da Manfredonia all’Òfanto, ove le dune hanno orlato il Tavoliere creando paludi costiere di grande ampiezza, come quella già denominata dalla classica Salapia. Più a sud le formazioni lacustri costiere del Salento derivano la loro origine da identiche cause.

    Cospicua estensione e notevole importanza tra i suoli quaternari hanno le « terre rosse » che sono « idrosilicati di alluminio (argilla), ossidi di alluminio colloidali, residui insolubili della scissione idrolitica dei minerali silicati presenti nei calcari come impurità, o in parte trasportati sulla superficie del suolo calcareo da correnti aeree di lontana provenienza, per lo più da regioni aride (Anelli) ». Le «terre rosse» si raccolgono nelle depressioni, nelle anfrattuosità del suolo, ove si accumulano e si costipano riempiendo sacche e spesso talvolta intasando cavità verticali, ecc. Queste terre rosse, nell’ambiente carsico, costituiscono gli unici suoli ad attitudine agro-pedica e compensano con la loro fertilità le gravi fatiche del contadino pugliese. Le carte geologiche, ad eccezione di quelle redatte dal Checchia Rispoli, non pongono in evidenza il fenomeno « terra rossa », che rientra con maggiore proprietà nelle carte pedologiche.

    C. Lippi Boncambi nella sua carta pedologica del Gargano alla scala 1:100.000, ha rilevato l’enorme diffusione della « terra rossa », sia come materiale autoctono che alloctono. La superficie interessata è ancora di gran lunga maggiore quando si consideri l’esistenza di terre brune forestali in terra rossa e di terre di colore rosso-bruno evolventesi a terra bruna. Questi ultimi suoli sono in gran parte formati da terra rossa di trasporto, che si mescola con i suoli delle conche e delle piane sublitoranee e litoranee, determinando un processo che induce ora a classificare questi suoli come terreni di transizione. La grande importanza che le terre rosse hanno nel Gargano è condivisa dai suoli calcarei delle Murge e del Salento — come si può ricavare da una carta pedologica di F. Mancini — per cui è sufficiente questo accenno per comprendere quanto peso queste formazioni abbiano nella vita economica della Puglia.

    Le fasi principali della formazione della Puglia trovano la loro documentazione in quanto è stato finora detto sulla forma, sulla natura e sull’età dei terreni che costituiscono la nostra regione. Il corrugamento alpino ha intensamente agito anche in questo estremo settore sudorientale della Penisola, ove il Gargano e l’Appennino di Capitanata manifestano pieghe grandiose.

    Litologia e tettonica del Tavoliere e del Gargano secondo una sezione Foggia-Cagnano Varano.

    Il Gargano meridionale — come è stato detto — presenta due magnifici e chiarissimi terrazzi: uno a quota intorno ai 500 m. e l’altro sui 100 metri. Il Checchia Rispoli ha interpretato tali forme come residue di spianamento dovuto ad abrasione marina. Mi sembra però non avversabile l’ipotesi che spiega i terrazzi stessi causati da forze verticali, che hanno prodotto la frattura e lo scivolamento di interi pacchi di strati.

    Ma l’esistenza di tali forze verticali è documentata soprattutto dalle Murge, ove numerose faglie longitudinali denunziano uno sbloccamento epirogenetico, che ha lasciato gli strati sollevati ad altezze diverse ma sempre in posizione concordante suborizzontale. Una grande frattura trasversa, indicata dal corso basso dell’Òfanto, definisce a nord le Murge; un’altra corrispondente con il cosiddetto istmo messapico, le definisce a sud. Da collegarsi con fratture longitudinali sarebbero i gradini notati in sede di descrizione morfologica. Il rilievo delle Murge va deprimendosi verso sud; nel Salento suoli dello stesso periodo geologico risultano a quote di gran lunga inferiori. Evidentemente l’istmo messapico è l’area di rottura di un’identica formazione geolitologica sollecitata rispettivamene a nord e a sud da forze orogenetiche verticali di diversa intensità. La rottura deve essere avvenuta probabilmente agli inizi del Cenozoico, perchè mancano nelle Murge quei terreni mioceni che sono invece largamente diffusi nel Salento.

    Il Tavoliere di Puglia sarebbe una grande fossa tettonica, secondo una recente interpretazione di M. Gortani, colmata durante la fine del Cenozoico e durante il Quaternario. L’origine pertanto sarebbe identica a quella della Fossa Bradanica, la quale fiancheggia tutto il lato occidentale delle Murge. Secondo il Colacicco diverse faglie non avvertibili in superficie, interessano l’imbasamento calcareo cretacico, obliterato da una pila di sedimentazioni ulteriori che, in corrispondenza di Foggia hanno una potenza di iooo metri. Le faglie principali sarebbero quelle denominate del Candelaro, di Torre di Lamis, di Arpi, di Torre Guiducci, di Foggia, ecc. Le prospezioni geoelettriche effettuate di recente nel Tavoliere rivelano infatti una struttura profonda calcarea detta a Horst e Graben.

    L’argilla azzurra pliocenica si. riscontra a profondità variabili, e la superficie dimostra di essere stata erosa da agenti subaerei, come può ricavarsi da uno schema rilevato in seguito a una serie di perforazioni effettuate per reperire l’acqua necessaria all’attività della cartiera di Foggia.

    Il carsismo

    Il carsismo in Puglia offre una grande varietà di aspetti e vi è diffuso a tal punto che i gruppi di fenomeni tipici sono in numero maggiore di quello che si osserva nello stesso Carso. Sono presenti in Puglia fenomeni che mancano nel Carso o che in esso risultano appena abbozzati. Questa constatazione si estende al carsismo di superfìcie e al carsismo di profondità. Una carenza pugliese è manifestata dai corsi d’acqua sotterranei, ancora non reperiti, forse perchè le ricerche sono molto meno sviluppate di quanto si creda.

    Tutti i calcari pugliesi sono carsificati: l’estensione del fenomeno è quindi notevolissima e si estende dal Gargano al Capo.

    E forse opportuno, utilizzando la nomenclatura elaborata da Franco Anelli, elencare i più tipici fenomeni carsici frequenti in Puglia. Il carso nudo, cioè una distesa di rocce calcaree affioranti con scarsa vegetazione è frequente nelle zone tra San Nicandro Garganico e Cagnano Varano, e nelle Murge Alte, specialmente presso Castel -laneta e Minervino Murge. La pietraia carsica ha esemplificazioni notevoli in queste stesse aree, dove l’azione termoclastica ha particolare efficacia anche per la quasi totale mancanza di rivestimento vegetale. Il microcarso, che presenta i primi documenti del ciclo evolutivo carsico, è caratterizzato soprattutto da forme elementari, come le doline a piccolo circuito e a scarsa profondità.

    Non si conoscono in Puglia cospicui campi solcati, mentre i campi di coni sporgenti, caratterizzati da spuntoni o nuclei isolati di roccia più resistenti alla dissoluzione, risultano estesi nel Gargano (tra San Nicandro Garganico e San Marco in Lamis) e nelle Murge Alte. I cosiddetti organi geologici, « cavità carsiche verticali a pozzo riempite da detriti eluviali e alluvionali », si riscontrano nelle Isole Trèmiti (San Nicola). Esistono poi tasche di decalcifìcazione, che nella parlata leccese son dette « totari ».

    La dolina è il più elementare e semplice, ma anche il più sintomatico distintivo del carsismo. Il termine, di origine slava, indica una depressione del suolo più o meno circolare. La Puglia ha una grande varietà di simili depressioni ed in grande numero, tanto da poter costituire estese aree a doline, che nella cartografia e nella fotografìa aerea si presentano come zone fittamente cribrate. Uno degli esempi più espressivi si può riscontrare nel Gargano, a ridosso di San Giovanni Rotondo (regione Le Grave).

    La forma della sezione della dolina ha una corrispondente nomenclatura, per cui si classificano doline a piatto, a scodella, a ciotola, a calice, a pozzo.

    Ma le grandi forme di superfìcie sono ì’ùvala e il polje. L’ùvala è una vasta depressione carsica dovuta alla fusione di più doline; il polje è « una depressione carsica di notevoli dimensioni (fino a qualche centinaio di chilometri) dal contorno generalmente allungato, eli limitata profondità dal fondo pianeggiante o poco accidentato, temporaneamente o perennemente allungato ». Pòlje minuscolo è il bacino carsico in cui era ospitato il lago di Sant’Egidio, nel Gargano tra San Giovanni Rotondo e Monte Sant’Angelo.

    Sul lago carsico di Sant’Egidio si daranno maggiori ragguagli quando si accennerà a taluni fenomeni carsici pugliesi a più alto valore esponenziale.

    Le forme carsiche ipogee possono essere collegate con la superfìcie mediante elementi di comunicazione di varia ampiezza e di varia profondità, come inghiottitoi, voragini, fenditure, ecc., che nei dialetti pugliesi rispondono confusamente alle voci di àvisi, caligiuni, grave, gurghi, guri, muri, ecc. Il carsismo ipogeo è molto ricco e variato, e nelle viscere del suolo pugliese — una volta perduta Postumia — è il più grandioso, spettacolare e meraviglioso complesso di grotte di tutta l’Italia.

    Ma, procediamo con ordine, risalendo di nuovo in superficie, ed osservando più da vicino alcuni caratteristici aspetti.

    La dolina è il numero uno della serie progressiva dei fenomeni carsici. Aree a doline si osservano nella zona culminale del Gargano, con una densità persino superiore a quella del Carso. In nessun’altra parte della Puglia si ha possibilità di riscontrare un assembramento analogo di forme pressoché identiche. Nelle Murge di Minervino è possibile osservare un cospicuo allineamento di doline in località Gravatone. Grandi doline singole si trovano nelle Murge meridionali, come a Noci presso la Masseria Fongio e tra Noci ed Alberobello, presso la Masseria Barsenti. In alcune doline sono state costruite alcune cisterne per attingervi l’acqua durante la stagione estiva, come nel cosiddetto lago di Padula presso Conversano e nel lago di Pozzo Triggiano, sulla strada da Polignano a Mare a Castellana Grotte. Ampie doline nel Salento si trovano tra Carpignano ed Otranto; le aree di maggiore densità sono presso il Capo, tra Ruffano e Alessano, tra Casarano, Presicce e Ugento.

    Carso pugliese nelle Murge (Sant’Elio).

    Tipo di carso salentino presso il Capo.

    Abbiamo accennato alle doline a piatto e simili; una grande cavità a pignatta può darci l’idea del pulo pugliese che può essere tecnicamente definita cavità a pozzo. Le dimensioni molto notevoli hanno indotto uno studioso, P. Mazzoni, a ritenerle crateri meteoritici.

    Nella località Pozzatina, nel Gargano, a metà strada fra San Nicandro Garganico e San Marco in Lamis è un pulo subcircolare, con diametro di varie centinaia di metri e con pareti a fortissimo acclivio, raccordate fra loro ad una cinquantina di metri di profondità. Nel tipo pulo rientra la grava di San Leonardo, ad occidente di Manfredonia.

    Regge il confronto con il pulo di Pozzatina quello di Altamura, ancor più vasto, più aspro e più spoglio, con un diametro di circa 500 m. e con profondità intorno a 75 metri. Vi immette un solco torrentizio « lama », convogliandovi durante le piogge un cospicuo volume di acque, che il pulo inghiottisce sempre con estrema rapidità. Franco Biancofiore ha condotto alcuni scavi nelle grotte che sforacchiano le pareti a picco del pulo, ed ha così potuto confermare quelle tracce di dimore umane di tempi preistorici, alle quali aveva fatto cenno Carmelo Colamonico nel 1917.

    Ma per tale motivo è — almeno per il momento — di gran lunga più importante il pulo di Molfetta, di proporzioni più modeste ma più armoniche, non solo per la sua quasi impeccabile circolarità, ma anche perchè ad un diametro di circa 50 m. corrisponde una profondità di circa 35 metri.

    Inghiottitoio riattivato nell’ex lago di Sant’ Egidio.

    Pulicchio è un diminutivo che si addice a forme identiche con dimensioni minori, come il Pulicchio di Toritto, in provincia di Bari.

    Una depressione carsica che si distingue per la sua ampiezza e per la sua forma subcircolare, ubicata nelle Murge meridionali, è la Valle d’Idria, ai margini della quale, in posizione pittoresca e rilevata, sono i centri di Martina Franca, di Locoro-tondo e Cisternino.

    Pure sulle Murge si osservano conche chiuse vallive come il Canale di Pirro, che si chiude completamente entro un’isoipsa di m. 325 sul mare. In realtà si tratta di due conche vallive allineate, delle quali la più elevata ha una quota minima di m. 306 s. m. e la più bassa di m. 269 sul mare. La lunghezza è di circa 12 km. e la larghezza media è sul chilometro. Questo « canale » è ritenuto come un autentico polje carsico e come la depressione carsica più vasta e più importante di tutte le Murge sudorientali.

    « Numerosi inghiottitoi si aprono sul fondo del canale, e sono in massima parte nascosti sotto la coltre dei depositi eluviali. Alcuni sono facilmente riconoscibili come quello denominato il gravaglione ».

    Nelle stagioni con persistente piovosità, il Canale di Pirro si allaga nei tratti più depressi per l’insufficiente capacità delle nominate bocche assorbenti a smaltire le acque qui convogliate dai versanti delle alture circostanti. A rallentare il deflusso in profondità delle acque, concorre uno strato di pozzolane variamente diffuso ed utilizzato nell’area Selva di Fasano-Alberobello.

    Alcune cavità poco estese che si aprono ai margini della depressione, come la « Grotta della masseria La Torricella », rappresentano bocche assorbenti del canale, antichi sfioratori delle acque qui raccolte in quantità molto maggiore in fasi di più abbondante piovosità nel corso del Quaternario. Non è esclusa in queste cavità una alterna funzione emittente ed assorbente, come nelle estavelles del Giura svizzero a seconda dell’elevarsi o dell’abbassarsi della falda idrica sotterranea (Anelli). Allineamenti di conche carsiche, non però intercomunicanti, si osservano anche nel Gargano, nel ripiano di San Giovanni Rotondo, caratterizzato dalla conca di San Marco in Lamis, dalla conca dell’ex-lago di Sant’Egidio (Pantano) e dalla conca della regione Sigismondi (Pantanello). Questi fenomeni, tra i più vistosi, hanno aspetti di inclivi-dualità molto singolare. La conca di San Marco in Lamis figura oggi come una qualsiasi testata di valle perchè è collegata con la valle di Stignano; ma il collegamento è avvenuto in seguito a crollo di un diaframma della conca divenuto sempre più esile e per erosione regressiva risalente e per corrosione, e quindi sempre meno resistente alla pressione idrostatica che si esercitava da monte sul medesimo. La lunghezza della conca è di circa 3 km. e la larghezza di circa un chilometro.

    La conca di Pantano (ex-lago di Sant’Egidio) delimita una superficie al-l’incirca ovale di 10 kmq.; la sua massima lunghezza è di quasi 6 km. e la maggiore larghezza di km. 2,5. L’area già occupata dalle acque è di kmq. 1,7. Pur con forti variazioni eli superficie, il lago fu permanente fino al 1830, anno in cui si asciugò per mancanza di piogge, determinando la distruzione totale di quei « soavissimi pesci » che lo rendevano famoso. Quattro dei sei inghiottitoi sono stati ripuliti, meglio incassati e rivestiti in muratura. Altre opere murarie riguardano la difesa da ogni tipo di ostruzione, in maniera che le acque possano essere ingorgate senza difficoltà. Nonostante l’intervento dell’uomo, durante gli inverni più piovosi, acque limacciose si raccolgono nell’invaso e persistono per più giorni formando un laghetto temporaneo.

    La conca di Pantanello si chiude completamente con l’isoipsa di 500 m. definendo un’area di kmq. 2,3. L’inghiottitoio è unico, all’incirca centrale e rappresenta l’orifizio di una voragine d’incerta profondità.

    La « Pozzatina », un pulo garganico tra San Nicandro e San Marco in Lamis.

    Ampie conche carsiche nelle Murge (Selva di Fasano).

    Non vogliamo indugiare in un elenco di conche carsiche, ma non possiamo non ricordarne un’altra, tipicamente canaliforme estesa nel Salento meridionale, lunga circa 8 km. e larga, in media, km. i. Essa è interamente compresa nell’isoipsa di m. 100 s. m. ; nel suo perimetro sono i centri di Ruffano, Torrepaduli e Supersano.

    Molta acqua meteorica giunge nei complessi meandri del carsismo ipogeo mediante l’assorbimento effettuato da strati superficiali di suoli sciolti, attraverso i quali le acque penetrano, e sono quindi convogliate in profondità sino a raggiungere l’ipotetico livello di base. I più appariscenti ed impressionanti sistemi naturali di smaltimento delle acque nei suoli carsici sono costituiti dagli inghiottitoi sotto forma di voragini di diversa ampiezza e di diversa profondità osservabile.

    Nel Gargano si possono inoltre ricordare, oltre quelli già descritti, la grava di Zazzano (San Marco in Lamis) e la grava di Varano. Tre inghiottitoi attivi, a poca distanza l’uno dall’altro, ho veduto in località Piano di San Vito, a 2 km. dall’innesto della strada che da Monte Sant’Angelo va a Carpino.

    Nelle Murge Alte, tra i più noti inghiottitoi, sono il Cavoncino e la Grava del Cavone, situati fra la Murgetta di Rossi e la Murgetta di Spinazzola: voragini delle quali non si conosce la profondità e che attendono ancora l’audacia di chi ne scandagli il fondo. Sempre nelle Murge Alte, ove la conoscenza del fenomeno carsico è ancora iniziale, è stata esplorata nel 1956, per iniziativa di Franco Anelli, la Grava di Faraualla, situata a 20 km. da Altamura, tra l’lazzo del Monaco e la Masseria Prove-ticelli a m. 630 sul mare. La Grava è formata da una cavità verticale profonda 256 metri. Questa voragine è quindi la più profonda dell’Italia meridionale; tra quelle italiane occupa il dodicesimo posto. Il capovento del Gurgo di Acquaviva delle Fonti è un’altra voragine che attende studio particolare, come pure il gravaglione del Canale di Pirro.

    Nel Salento, a Cutrofiano, presso la Masseria Torre Mozza si segnala un « aviso » o « voragine », anch’essa carsica. A Nòvoli è la Vora Infocamonaci, e presso Viti-gliano è l’omonima vora « costituita da un cunicolo lungo quasi 60 m., che porta ad un pozzo dalla forma quasi cilindrica profondo 14 m., dal quale parte un altro cunicolo tutt’oggi ancora inesplorato perchè allagato ». La Vora Spedicaturo, sulla provinciale Nociglia-Montesano è formata da due cunicoli, uno lungo 63 m. e l’altro circa il doppio. Altre vore degne di nota sono la Vora Piccola e la Vora Grande di Barbar ano.

    Presso Nòvoli è la Grotta del Lago, a circa 7 m. sotto il piano di campagna, utilizzata per molti anni come fontana pubblica. Un’analoga grotta con sorgente è il celebre « fonte pliniano » di Manduria, che forniva d’acqua potabile tutta la città. Pure nell’agro di Nòvoli, in località La Corte, era una sorgente del genere, a circa 10 m. sotto il piano di campagna. Agli inizi del 1870 La Fontana — tale il nome — si è disseccata probabilmente per spontanea deviazione delle acque.

    Si riteneva che un’oscura abissale voragine fosse la Grava di Castellana: essa è invece un bell’occhialone naturale aperto su un’enorme grotta a cupola.

    Il 23 gennaio 1938, attraverso questo occhialone, Franco Anelli si calò con una corda lunga una cinquantina di metri, riuscendo a giungere alla base di una vasta grotta. L’esplorazione del perimetro di base diede la possibilità di rintracciare l’imboccatura di un cunicolo, che, in successive esplorazioni, si manifestò come la porta d’ingresso di un sotterraneo mondo meraviglioso.

    Grotte di Castellana: rilievo planimetrico

    L’andamento planimetrico rettilineo delle grotte rivela l’origine delle cavità sotterranee legata ad estesi sistemi di frattura. Le grotte laterali, come 1’« Angolo incantato », il « Piccolo Paradiso », la « Voragine », rappresentano modesti affluenti dell’antico alveo fluviale sotterraneo.

    Grotte di Castellana: profilo

    Il profilo segue l’asse delle cavità sotterranee principali. Le depressioni interne in corrispondenza dell’« Altare », del « Precipizio », della « Voragine », scendono verso i più bassi livelli dell’antica circolazione delle acque nel sottosuolo dell’altopiano carsico delle « Basse Murge », o Murge sud-orientali.

    La grava delle grotte di Castellana.

    Ma è dieci anni dopo che ha inizio la valorizzazione turistica delle grotte, condotta con sagace alacrità; peraltro non bisogna dimenticare che già nel 1938,la discesa alla grande grotta iniziale era stata resa agevole con una galleria intaccata da 250 gradini. Dal 1954 funzionano due ascensori, ciascuno della portata di 700 persone ogni ora. Di pari passo con lo sviluppo turistico è aumentato verso le grotte l’interesse di studio, che ha consentito notevoli progressi nella conoscenza dell’ambiente fisico e biologico del mondo sotterraneo. Per il primo scopo si possiedono già elementi significativi sulla temperatura e sulla circolazione dell’aria interna, sull’umidità, sulla radioattività; per il secondo si è proceduto all’identificazione della vegetazione ipogea, costituita da felci, muschi ed alghe verdi. La fauna ha offerto specie di importante documentazione biogeografica, come il coleottero troglobio Italodytes stammeri, che presenta grande affinità con lo Spelaeodytes dell’Erzegovina. Altro coleottero di Castellana, nuovo per la scienza, è il Globobythus anelili.

    La formazione di queste grotte è legata all’antica esistenza di un corso d’acqua sotterraneo, che, con azione chimica e fisica durata per secoli, si è aperto un varco attraverso le masse calcaree della massiccia, ma estremamente fratturata, impalcatura cretacea delle Murge. Non possiamo avere guida migliore nè più entusiasta dell’Anelli, che ricorda con vivacità di parole la sua prima discesa… L’occhialone della grava, circondata da folte ciglia di vegetazione ci consente ancora un diretto contatto con la luce esterna, e par di vedere penzolante alla fune l’uomo che lentamente si cala nel vuoto di un cavernone, che ha un’altezza massima di 60 m., una larghezza di 50 m. ed una lunghezza di circa 100 metri.

    Attraverso un antico passaggio a sifone, si entra nella Grotta Nera, e poi nel Cavernone dei monumenti, « maestosa navata sotterranea a volta piana, scavata in un’alta pila di strati rocciosi ». L’altezza della caverna supera i 40 m. ; qui l’aria ha una temperatura di circa 150, costante durante tutto l’anno, mentre l’umidità relativa oscilla dal 70 all’80%.

    Tra cavernoni e corridoi si ha modo di constatare che le grotte si sviluppano per chilometri a diversi livelli, e, che nel corso d’acqua principale confluivano corsi secondari, determinando un reticolo idrico ipogeo che non è ancora interamente conosciuto. La cosiddetta Caverna del Precipizio offre la possibilità di ipotizzare l’esistenza di piani diversi di sviluppo, anche al visitatore meno esperto in fenomeni del genere, ma anche al visitatore meno suggestionabile. Nelle pareti delle grotte si ha talvolta la possibilità di osservare la presenza di strati calcarei riccamente fossiliferi con rudiste perfettamente conservate.

    Con le grotte di Castellana noi conosciamo un tratto di alveo di un fiume sotterraneo, il quale è scomparso attraverso livelli sempre più profondi. L’occasionale comunicazione col soprasuolo, costituita dalla grava — che è l’elemento di maggiore sensazione — è invece un particolare di seconda importanza nel quadro generale del sistema idrico ipogeo, che si manifesta di una grandiosità paragonabile a quelli meglio noti in Italia e nel mondo.

    Trasparenze nelle grotte di Castellana.

    Gli « organi » delle grotte di Castellana.

    Le coste

    La regione pugliese è al primo posto in Italia per la lunghezza delle sue coste peninsulari, che è di 784 km., superiore, sebbene di poco, a quella della Calabria che è di km. 738. La lunghezza delle coste delle isole è di 45 km., per cui la Puglia ha un confine costiero complessivo di km. 829.

    Della totale lunghezza costiera la spiaggia si estende per 280 km., vale a dire per il 33,8%, mentre la lunghezza della spiaggia di tutto il litorale italiano (3272 km.) in rapporto percentuale alla lunghezza della costa italiana (5300 km.) è del 61,7%. Questi valori indicano che le spiagge pugliesi hanno in genere scarsa estensione e che sono le formazioni di roccia compatta che giungono per lo più a diretto contatto col mare.

    A sud del Saccione la spiaggia prosegue all’incirca rettilinea sino alla Punta delle Pietre Nere, interrotta dalla foce del Fortore. Le formazioni dunose si addentrano ovunque notevolmente provocando ondulazioni mobili, che l’uomo cerca di sottrarre all’azione eolica con opportune difese e soprattutto con la messa a dimora di piante atte a fissare i suoli sabbiosi.

    Tipo di costa garganica a Pèschici.

    La spiaggia del cordone litoraneo del Lago di Lésina prosegue dalla Punta delle Pietre Nere con una lieve inflessione sino al Monte Dèvio (nelle carte Monte d’Elio), che la interrompe con rupi precipiti, per circa 2 chilometri. Pure al Monte Dèvio, al piede del versante orientale, si salda la spiaggia del cordone litoraneo del Lago di Varano, e prosegue verso est, sino al promontorio che Rodi riveste con ardite e caratteristiche costruzioni. Qui ha termine la spiaggia aperta verso il retroterra ed inizia un tratto di spiaggia pedecollinare che definirei « di falda » (spiaggia di San Menaio), per una lunghezza di circa 8 km. sino al promontorio della Pineta Marzini.

    Sebbene il Gargano immerga bruscamente nelle acque dell’Adriatico il suo dosso montuoso, sì che le coste risultano per lo più articolate, non mancano anche qui spiagge di notevole entità e di grande bellezza, che sono praticamente sconosciute per la distanza dai maggiori centri abitati e dalla strada carrozzabile.

    Le spiagge maggiori proseguendo verso Manfredonia sono quelle di Santa Maria di Merino (quasi 3 km.), di San Lorenzo (circa 1,5 km.) a nord di Vieste, e, immediatamente a sud, del Castello (circa 3 km.) e di Portonuovo (circa 1,5 km.). Si tratta di formazioni sabbiose molto consistenti anche per quanto si riferisce alla larghezza, che, ovviamente, viene ridotta dalle coltivazioni orticole e soprattutto dai vigneti, dai quali si ricavano uve primaticce e vini di alta gradazione alcoolica.

    Spiagge minori, oltremodo pittoresche, si inseriscono fra promontori vicini. Le più note sono quelle tra la rupe della Pineta Marzini e Monte Pucci; tra Monte Pucci e lo Sprone di Pèschici, e, più ampia di tutte, la spiaggia di Mattinata, che collega il promontorio di nuda roccia in cui era l’antica Matinum con le rupi a picco di Monte Saraceno. Tutte le spiagge maggiori e minori anzidette costituiscono l’orlatura estrema di valli spesso molto ampie o di sistemi di valli che risalgono il Gargano; si tratta pertanto di lidi o cordoni litoranei, che il riempimento delle lagune ad opera degli apporti terrigeni ha interamente saldato con la terraferma.

    L’opera di colmata e quindi di eliminazione dell’impaludamento è spesso favorita dall’uomo, là ove sono state impiantate le colture come nella Spiaggia del Castello e nella Piana di Mattinata; ma esistono ancora lagune morte, molto significative per lo studio delle fasi del fenomeno, come presso Torre di Calalunga, Torre di Gusmai, Torre di Spinale (Pantano di Spinale e Pantano di Spinalecchio, ecc.). La persistenza di questi pantani è pure da collegarsi con la presenza di risorgive di natura carsica.

    La costa a nord di Monopoli (Torre Incina).

    Ad eccezione ancora di qualche spiaggia di falda, spesso accessibile soltanto dal mare, il Gargano ha costa alta ed articolata, che si può agevolmente ammirare in tutta la sua meravigliosa bellezza facendo il periplo del promontorio con il servizio di navigazione Manfredonia-Trèmiti.

    Solo da Monte Saraceno a Manfredonia la linea di costa si abbassa e si livella in corrispondenza della Piana di Macchia, che termina con una balza di conglomerati alta in media una diecina di metri, a picco sul mare, e talora orlata da una stretta spiaggia ciottolosa. Presso Manfredonia, la costa, irta di scogli, scende a mare a mantello.

    A Manfredonia termina la costa a ripa garganica e segue di nuovo la spiaggia sottile, a grande falcatura, sino alla foce dell’Ofanto. Questa spiaggia orientale del Tavoliere ripete le caratteristiche della spiaggia settentrionale (dal Saccione alla Punta delle Pietre Nere), con la differenza però che qui sono più vasti gli impaludamenti. Tale flagello deriva dal fatto che tutto il Tavoliere pende verso questa costa, come la falda di un tetto gigantesco verso la sua gronda. E ad una gronda, infatti, può paragonarsi questo lido di ben 50 km. di lunghezza, perchè impedisce il diretto deflusso al mare e distribuisce le acque interne parallelamente alla linea di costa. Ma è una gronda convessa che ha danneggiato e danneggia l’uomo, il quale da secoli impiega in questa regione ingenti sforzi di capitale e di lavoro perchè la palude divenga terra ferace apportatrice di vita, mentre sinora è stata fomite di depressione economica, di malaria e di morte.

    Costa pugliese a « marmitte » a nord di Savelletri

    Costa a dune a sud di Torre Canne.

    La costa cambia di nuovo il suo aspetto a sud dell’Òfanto. Essa infatti pur proseguendo con direzione sudest e mantenendosi complessivamente rettilinea, presenta una balza calcarea abrupta, specie quando è costituita da strati orizzontali rispetto al livello del mare, o immergendosi a gradinate nelle acque, quando gli strati sono comunque obliqui. Ma il contatto mare-terra crea una ricchezza di dettaglio morfologico, che rende anche questo settore costiero molto interessante e spesso pittoresco e suggestivo come avviene a Polignano.

    L’uniformità della linea di costa non solo è stata qui alterata e movimentata dall’abrasione, ma è stata frequentemente interrotta dai solchi vallivi (lame), che giungono al mare con netto taglio trasverso. Le forze di marea e di ondazione, per nulla ostacolate o comunque attutite dal flusso di acque continentali, hanno potuto estrinsecare tutta la loro veemenza per slargare queste antiche foci, smussare eventuali asperità e demolire ostacoli residui. Questo lavorìo ha prodotto talvolta minuscole insenature o ripari sufficienti per barche da pesca o approdi abbastanza sicuri. Molto meglio poi quando la presenza di aggetti peninsulari, come è avvenuto per Bari, consentivano di poter disporre di un più ampio specchio d’acqua naturalmente protetto. L’intervento dell’uomo ha trasformato in porti le tacche costiere con ampliamenti, dragaggi ed opere d’arte a seconda delle esigenze e delle funzioni da espletare. Ma soprattutto

    è da rilevare che il fenomeno fisico testò descritto ha determinato nella gente di Puglia una vocazione marinara, ha formato una categoria di naviganti che hanno collegato attivamente la propria terra con l’Oriente, senza subire sempre in modo passivo l’intraprendenza e l’audacia degli altri.

    Barletta, Trani, Bisceglie, Molfetta, Giovinazzo, Bari, Mola di Bari, Polignano e Monopoli sono grosse città che si succedono su una costa lunga quasi 100 km. alla distanza media di 12 km.; distanza che è nella realtà di gran lunga minore, considerando i piccoli centri intermedi, la lunghezza stessa delle città e le propaggini periferiche attestate da allineamenti di ville di varia grandezza lungo gli allacciamenti stradali.

    A sud di Monopoli il contatto tra rocce calcaree delle Murge e acque continua ininterrotto, ma viene a mancare la balza, sostituita da una piattaforma che è invasa dal mare grosso specialmente in concomitanza con l’alta marea.

    Da Monopoli a Torre Canne la banda costiera è sforacchiata da marmitte di abrasione e la costa denunzia una ingressione di cui i ruderi della classica Egnathia costituiscono il documento più significativo.

    La stratificazione quasi orizzontale degli strati calcarei a Leuca (grotta delle Tre Porte).

    La costa a picco all’ingresso della grotta Zinzulusa.

    A Torre Canne, centro di villeggiatura, la spiaggia riprende il sopravvento, spesso adergendosi con una fronte di tomboli detti localmente « monticelli », o presentando rettifili piatti e sabbiosi, coste basse con scarsa orlatura di base. Il complicato porto di Brindisi movimenta improvvisamente la costa pugliese con una serie di insenature, unica nel suo genere in tutta la nostra Penisola.

    A sud di Brindisi si ripetono i caratteri della monotona spiaggia, anticipata nell’interno da depressioni paludose, talune delle quali vittoriosamente bonificate.

    La costa alta e dirupata ricompare a Otranto, e pure a sud di Otranto è la muraglia costiera che prevale con falcature ampie, prive di frastagliamento minuto: tagli verticali, appicchi paurosi e pittoreschi, innestati su promontori scarsamente protesi e dai quali svetta quasi sempre una torre litoranea di avvistamento. Sino al Capo di Santa Maria di Leuca questa costa pittoresca ma repulsiva, alla base della quale il mare si dissolve perennemente in trine di schiuma, domina a guisa di colossale bastione. Costa di calcare fratturato e ricca di carsismo ipogeo, che il mare con diuturna opera di demolizione va continuamente scoprendo.

    Sono in questo tratto di costa le grotte celebri della Zinzulusa e di Romanelli, e numerose altre, meno famose e meno grandi, ma non per questo meno suggestive e fascinose.

    Mentre la costa orientale della regione del Capo è alta, quella occidentale è bassa ed è spesso sabbiosa. La costa è qui sforacchiata da numerose grotte, tra le quali ricordiamo proprio al Capo la grotta Cazzafra, e, oltre la Punta Ristola, la Grotta del Diavolo, del Fiume, delle Tre Porte, dei Giganti, del Drago.

    Unico esempio in tutta la costa pugliese, è il promontorio fratturato di Gallipoli, costituito dall’allineamento dell’isola di Sant’Andrea, dell’isola su cui è Gallipoli e dello sfilato aggetto peninsulare che si protende verso la medesima. A nord di Gallipoli, pur con qualche interruzione (Porto Cesàreo), la spiaggia ha un assoluto predominio praticamente sin presso Taranto (Capo San Vito).

    Dalla Punta Rondinella a nord di Taranto sino alla foce del Bràdano, tutto l’arco costiero è sabbioso, ma in gran parte occupato da una pineta che arricchisce questo mare di gradite penombre e di acuta fragranza.

    Vedi Anche:  Popolamento ed emigrazione